Ieri si è celebrata la “Domenica della Parola”, un appuntamento istituito da papa Francesco il 3 settembre 2019 con il Motu proprio “Aperuit Illis”, nel quale scriveva: “Stabilisco, pertanto, che la III Domenica del Tempo Ordinario (nel rito ambrosiano coincide con la III domenica dopo l’Epifania) sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio. Questa Domenica della Parola di Dio verrà così a collocarsi in un momento opportuno di quel periodo dell’anno, quando siamo invitati a rafforzare i legami con gli ebrei e a pregare per l’unità dei cristiani. Non si tratta di una mera coincidenza temporale: celebrare la Domenica della Parola di Dio esprime una valenza ecumenica, perché la Sacra Scrittura indica a quanti si pongono in ascolto il cammino da perseguire per giungere a un’unità autentica e solida”.
Nella mia comunità parrocchiale mi è stato chiesto di commentare il brano evangelico che la Conferenza Episcopale ha scelto come base per la riflessione. Condivido con voi il testo della riflessione.
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10,1-4)
Il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada».
Il Signore designa, sceglie, chiama, dà fiducia e consegna una responsabilità importante, quella di precedere il suo arrivo.
Il protagonista è Gesù e anche chi lo precede prepara la strada per l’incontro con lui, con la sua Parola.
Non si è soli nella missione, il cammino cristiano non è un cammino individuale o solitario. Il Vangelo ci dice che sono anche “altri” i chiamati e gli inviati.
Abbiamo poi ascoltato un numero, Settantadue. E’ il numero dei popoli che la Genesi individua per descrivere tutte le popolazioni della Terra: l’idea è di coinvolgere tutti, senza distinzioni o privilegi, fino alle periferie delle città, del mondo, per utilizzare un’espressione cara a papa Francesco.
La destinazione non è chiara e neppure individuata con precisione. Gesù dice di andare in “ogni città”. Non si tratta di scegliere le zone migliori dove recarsi, si va verso tutti.
Gesù ricorda che si è sempre pochi rispetto alle necessità della missione, ma questo non deve spaventare.
La preghiera è l’atteggiamento giusto: per non cedere al lamento o alla disperazione è bene affidarsi a chi ci ha inviato.
Il protagonista resta il Signore ed è a lui che ci si deve sempre rivolgere e riferire: se si è in missione è per annunciare a gloria e la gioia di Dio, non per meriti propri o ambizioni personali.
Andate! Dice il Gesù: questa è la cosa importante, ovvero fidarsi e muoversi, iniziare il cammino.
Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi non è certo una frase rassicurante, ma nei passi paralleli dei Vangeli sinottici (Matteo) si legge una specificazione interessante: prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.
Gli agnelli, in questo caso, non sono vittime sacrificali, ma esempi di mansuetudine, mancanza di arroganza, capacità di affidarsi, di seguire le indicazioni del pastore, il maestro, Gesù.
Il lupo attacca, ferisce, insidia… Non è così che deve presentarsi il discepolo inviato dal Maestro. L’atteggiamento giusto è quello dell’agnello, che richiama le beatitudini e l’atteggiamento di chi si pone a servizio degli altri, rispettandoli e portando loro parole di amicizia, di stima e di incoraggiamento, parole di salvezza.
Ci sono poi alcuni oggetti che, in modo singolare, Gesù dice ai discepoli di non portare con sé.
La borsa, rappresenta le sicurezze a cui spesso ci affidiamo, ovvero le risorse, i soldi, le certezze a cui ci affidiamo e che ci permettono di acquistare ciò che ci serve. Non è questo che garantisce il successo del discepolo.
La sacca è utile per custodire le cose che ci servono e anche queste ci illudono di essere sicuri, ma neppure queste garantiscono che la missione abbia successo, anzi, possono addirittura distrarre dall’essenziale.
I sandali di ricambio tolgono l’ansia di rimanere scalzi, esposti al rischio di non poter continuare il cammino, ma anche questo non è il segreto per la buona riuscita della missione.
C’è poi l’invito a non fermarsi a salutare nessuno. Può sembrare una scortesia o una mancanza di rispetto per le persone che eventualmente si incontrassero durante il cammino, in realtà è un’esortazione a non perdere di vista la meta, l’obiettivo del cammino per cui si è stati scelti e inviati: l’annuncio della buona notizia, della gioia del Vangelo, del segreto della felicità, ovvero il fatto che si può amare gli altri e costruire così un mondo migliore.
Alla base di questi pochi versetti c’è una certezza: Gesù arriverà dopo di noi dove avremo portato la sua Parola. Non siamo soli, portiamo un messaggio che non ci appartiene e che proviene da chi ha il potere di cambiare la nostra vita, dandole un senso diverso e cambiando nel profondo il nostro modo di guardare alle cose che ci accadono e agli altri.
E’ la Parola di Gesù che sceglie e invia i discepoli.
Anche noi, anche ciascuno di noi, se siamo qui, è stato chiamato: siamo discepoli perché abbiamo incontrato qualcuno che ci ha consegnato la Parola del Signore e nostro compito è quello di annunciarla, portarla a coloro che incontriamo nelle nostre giornate, testimoniando come l’amore di Gesù ha cambiato la nostra vita.
Non siamo soli e non dobbiamo fare miracoli, basta che ascoltiamo la Parola del Signore e ci affidiamo alla sua misericordia, che ci chiede di pregare, andare e raccontare, testimoniare l’amore che ci è stato affidato.
Ci possono aiutare allora le parole che Mons. Giuseppe Baturi, Segretario Generale della CEI e arcivescovo di Cagliari ha usato per presentare la domenica della Parola che oggi qui stiamo celebrando:
“La Chiesa in ascolto è la Chiesa missionaria: proiettata verso il mondo, desiderosa di crescere nella fede, interessata a ogni uomo e donna, attenta soprattutto a quanti abitano loro malgrado le periferie esistenziali”.
“L’ascolto della Parola di Dio educa il cuore a entrare in relazione profonda con le persone e con gli eventi della storia: Dio parla ancora attraverso le Scritture e la vita concreta”.
Potremo così, con fiducia, fare nostre le parole del Salmo 119 che il cardinal Martini ha voluto venisse scritta sulla sua tomba, nel Duomo di Milano: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”.
Grazie per la riflessione.
Roberto Baroni