Quanto accaduto a Peschiera del Garda e sul treno che viaggiava verso Milano nella giornata del 2 giugno è molto grave. Decine di giovani hanno letteralmente occupato prima una parte del lungolago della cittadina, poi un treno regionale in preda a un’esaltazione collettiva che ha provocato danni a negozi e arredi e atti di intimidazione e violenza nei confronti dei presenti. Particolarmente grave è stata la situazione in cui si sono trovate, sul treno, alcune ragazze che rientravano a casa dopo una giornata a Gardaland. Fatte oggetto di minacce e pesanti approcci sessuali, le ragazze sono riuscite a scendere alla stazione di Desenzano solo grazie all’aiuto di altri giovani presenti sul vagone.
Episodi come questo non possono lasciarci indifferenti, anche perché rischiano di diventare sempre pù frequenti e incontrollabili.
C’è chi invoca “tolleranza zero”, come il presidente del Veneto Zaia, interpretando la comprensibile rabbia dei cittadini, ma, purtroppo, non contribuendo in nulla alla soluzione del problema. Quando ti trovi di fronte a ragazzi che agiscono in gruppo, spesso sotto effetto di sostanze o alcol, devi certamente imitare le loro violenze limitandone l’impatto, ma poi? Far passare una notte in questura, affibbiare multe, segnalarli alla pubblica sicurezza, convocare le famiglie per segnalare quanto i loro figli hanno combinato sono azioni necessarie, ma non risolveranno certo il problema che si ripresenterà alla prima occasione. Nel frattempo, li avremo almeno limitati, certo, ma poi? Come impedire che questi episodi si ripetano?
Il presidio delle forze dell’ordine è fondamentale, ma non possiamo pensare di avere una pattuglia su ogni vagone ferroviario o esponenti delle forze dell’ordine ad ogni angolo delle nostre città e dei nostri paesi.
Non ho risposte immediate da offrire, ma mi chiedo come poter agganciare questi ragazzi per far sì che non scattino episodi di follia collettiva come quelli di Peschiera, ma si potrebbero citare tanti altri episdi più o meno recenti.
E’ necessario aprire un canale di comunicazione e relazione con questi ragazzi.
La scuola fatica a farlo e le famiglie non hanno molti strumenti per gestirli, quando non arrivano anche a giustificarne e difenderne i comportamenti.
Atteggiamenti aggressivi, trasgressione e violenze nascono, ci insegnano gli psicologi, da un estremo bisogno di affermare se stessi di fronte a una realtà che si vede come chiusa ad ogni prospettiva, priva di un futuro promettente. Allora ci si rifugia nella soddisfazione immediata delle proprie pulsioni, anche grazie all’uso di sostanze che consentono di sentirsi qualcuno e di condividere esperienze di gruppo e di non sentire il fallimento come unica prospettiva possibile per sé. La violenza e la prevaricazione con atteggiamenti aggressivi sono la scorciatoia per chi sente di essere escluso e si ritaglia così uno spazio di esistenza e di affermazione personale.
Ma cosa sarà di questi ragazzi tra qualche anno? Come potranno costruirsi un percorso per diventare adulti senza venire divorati da percorsi di devianza e violenza?
Domande angosciose, per quanto mi riguarda, e la soluzione non può essere nel confinamento di questi ragazzi, magari in carcere, o nella loro eliminazione.
Dire tolleranza zero è qualcosa di rassicurante nell’immediato, ma quali prospettive apre per domani?
Dobbiamo tutti chiederci come costruire relazioni con questi giovani che vorremmo tanto stessero lontani da noi, dai nostri figli, dalle nostre cose e dalle nostre strade.
Ma, forse, proprio questo volerli a tutti i costi lontani è il problema: costruire ghetti o banlieu è il modo migliore per alimentare questi problemi, non certo per risolverli.
E allora?
Servono poliziotti e carabinieri, ma più ancora educatori di strada e assistenti sociali.
Servono oratori, centri di aggregazione giovanile, società sportive, scuole aperte anche al pomeriggio…
Servono iniziative che riempiano le strade e le piazze, concerti, iniziative culturali e, soprattutto lavoro, lavoro vero (non nero), pagato come si deve.
Più che tolleranza zero, servirebbe una rete sociale a mille. Da soli siamo tutti più vulnerabili e spaventati.
Concordo perfettamente con la tua analisi.
Forse saranno le esperienze passate che mi fanno domandare: “perché si sono comportati così? In quali ambiti vivono e socializzano? Quali attività frequentano (famiglia, sport, spettacolo, ecc.?”
Anni fa il commento su azioni simili (c’erano, ma non esistendo i cosiddetti “social media” il tutto era molto meno evidente) era: “un gruppo di sbandati; cerchiamo di capire il motivo di questo comportamento”.; ora si parla di “tolleranza zero”, un titolo vuoto senza una concreta proposta di conoscenza e soluzione del problema.