Ieri ho partecipato all’Assemblea Generale di Assolombarda e provo a raccontarvi alcune delle impressioni che ne ho ricavato. Ho avuto la sensazione che gli imprenditori lombardi stiano cercando di capire se ci sia o meno una leadership capace di prendersi sulle spalle la Lombardia e l’Italia in un momento storico particolarmente confuso e pieno di contraddizioni.
Non è certo casuale il percorso che Assolombarda ha voluto fare con la scelta della sede delle ultime sue assemblee, come ha sottolineato lo stesso presidente Spada all’inizio della sua relazione.
Linate, come luogo da cui tentare di ripartire dopo le prime ondate di pandemia, le aree Falck di Sesto San Giovanni, come segno della necessità di lasciarsi alle spalle un glorioso passato industriale per individuare una nuova sostenibilità economica e ambientale, e, infine, Mind, il distretto dell’innovazione che propone Milano come punto di riferimento per le scienze della vita e le nuove frontiere della ricerca. E’ un percorso che traccia la strada da intraprendere per rimanere, o tornare, al centro dei flussi internazionali dell’economia e della finanza e che accetta la sfida della transizione ecologica, guardando all’Europa come riferimento imprescindibile e indicando la formazione come strada maestra da percorrere.
Gli imprenditori hanno dato l’impressione di sentirsi un po’ soli in questo cammino, alla ricerca di sponde istituzionali che non considerano evidentemente così solide e affidabili. I leader di Assolombarda e Confindustria, Spada e Bonomi, non sono stati per nulla teneri con la politica e con i partiti in particolare, manifestando la preoccupazione che l’Italia perda la straordinaria occasione dei fondi messi a disposizione dell’Europa, sacrificandoli sull’altare del consenso e delle prossime elezioni. Gli imprenditori vedono in Draghi un riferimento importante, ma temono che il suo impegno possa essere vanificato dalla mancanza di visione strategica dei partiti che pure, finora, hanno assicurato l’esistenza di questo governo, merito di tutto questo, però, lo hanno detto con grande chiarezza, è più del Presidente della Repubblica che della politica.
Preoccupati per la situazione nazionale, Alessandro Spada e Carlo Bonomi non so quanto siano stati rassicurati riguardo la possibilità che possa essere la politica milanese e lombarda a proporsi come solida sponda per il prossimo futuro. Gli interventi del presidente della regione Fontana e del sindaco di Milano Sala non hanno offerto loro grandi aperture in questo senso, manifestando la disponibilità a un percorso comune senza poter però offrire garanzie sulla capacità di mettersi alla guida del cammino con una chiara visione del futuro che attende Milano e la Lombardia.
Più convincente, in realtà, Beppe Sala, che ha recuperato una vena di ottimismo dopo gli anni difficili della pandemia, raccontando di una Milano che è tornata ad essere attrattiva con opportunità formidabili nella rigenerazione di enormi aree dismesse e grandi investimenti sulla mobilità e la cultura. Secondo il sindaco, c’è grande fermento, ma si devono affrontare i temi delicati che possono creare tensioni sociali, a partire dall’aumento del costo della vita, che mette in difficoltà un numero sempre più ampio di famiglie e impedisce di far sì che a Milano si possano attrarre lavoratori per la pubblica amministrazione e altre attività con retribuzioni non adeguate. Sala ha anche sottolineato come la burocrazia, nelle sue varie manifestazioni, faccia perdere al sistema Milano almeno 6 miliardi di euro ogni anno, costringendo chi vuole investire a un percorso con troppe curve, mentre altrove, e ha citato la Baviera, la strada è dritta e veloce. Insomma, più che mettersi alla guida del percorso, il sindaco si è messo al fianco degli imprenditori, assicurando che Milano è già pronta alla sfida e attende risposte per poter correre davvero.
Ancora meno trainante il presidente della regione Fontana, che, dopo aver illustrato, secondo un collaudato e stucchevole schema sempre utilizzato dagli esponenti dell’esecutivo regionale, la bontà dei provvedimenti della Giunta, ha evocato la sussidiarietà come faro delle politiche regionali e sferrato poi un attacco frontale al Reddito di Cittadinanza. Come spesso fanno i leghisti, il presidente ha puntato su quello che riteneva gi ascoltatori volessero sentirsi raccontare, evitando con cura di offrire qualsiasi visione per il futuro della Lombardia e insistendo sulla necessità che si arrivi al più presto a ottenere la sospirata autonomia, che consentirebbe alla regione di correre ancora più veloce, anche se non si sa bene verso quale meta. L’impressione è quella di una regione pronta a mettersi in scia agli imprenditori, secondo l’idea che debbano essere altri a tracciare la strada in una interpretazione liberista della sussidiarietà come arretramento delle politiche pubbliche di fronte alla forza trainante del privato. Non mi è parso che fosse però questa la leadership invocata dalle imprese.
Fatico invece a capire quale sia stato il giudizio dell’Assemblea di Assolombarda sull’intervento del ministro Vittorio Colao che, oltre a delineare con evidente competenza e cognizione di causa gli scenari globali del digitale e dell’innovazione, ha esplicitamente invitato gli imprenditori presenti ad avere coraggio, assumendo e aumentando le retribuzioni dei lavoratori. Il governo, secondo Colao, continuerà a fare la sua parte, seguendo il mandato che gli è stato affidato riguardo l’applicazione di Next Generation EU, ma le imprese non devono tirarsi indietro. Le sfide sono globali e paiono giocarsi su una scala enorme e lontana, ma l’Italia, nel contesto di un nuovo slancio europeo che il ministro coglie con positività e ottimismo, non può farsi trovare impreparata, né sprecare l’occasione offerta dai fondi a disposizione che, ha ricordato ancora Colao, sono però debiti e proprio per questo devono essere spesi con il pensiero fisso ai giovani che dovranno ripagarli in futuro.
Sono rimasto favorevolmente colpito dall’intervento di Colao, che non avevo mai ascoltato dal vivo: viene solitamente considerato come il più tecnico tra i ministri di Draghi, ma nelle sue parole c’è stata grande consapevolezza riguardo le sfide che attendono l’Italia e l’Europa e il fatto che l’investimento in ricerca e innovazione possa essere una risposta autenticamente politica.
Ho percepito, infine, molto nervosismo nell’intervento conclusivo del presidente di Confindustria Bonomi, non so se dettato dalla necessità di stringere i tempi a causa dell’ora ormai tarda o dalla sensazione di aver avuto più sollecitazioni che risposte dall’intervento del ministro Colao. Di certo, Bonomi non ha nascosto la sua insofferenza nei confronti dei partiti e della loro gara a smarcarsi dall’esecutivo Draghi, manifestando, peraltro, anche se non lo ha mai nominato, una netta avversione per Giuseppe Conte, i suoi esecutivi e il suo attuale partito.
L’impressione, per concludere, è che gli industriali siano alla ricerca di una leadership che hanno individuato in Draghi e che vedono destinata a scadenza. Il messaggio è chiaro: non ci fidiamo dei partiti e siamo molto preoccupati per il futuro nostro e del Paese.