Primo passo, falso, della modifica della legge sanitaria lombarda: si vede solo tanto fumo.
La Commissione Affari istituzionali del Consiglio regionale della Lombardia ha approvato a maggioranza (con voto contrario del PD) la legge di revisione ordinamentale e di semplificazione. In particolare, sono state approvate le modifiche concordate tra Regione Lombardia e Governo riguardanti proprio la riforma sanitaria. Continuo a sottolineare come non si tratti di modifiche marginali o esclusivamente formali, sembra confermarlo implicitamente anche la presidente della Commissione, Alessandra Cappellari (Lega), che si lancia in una difesa d’ufficio delle modifiche incorrendo nelle più classica “excusatio non petita”: “Ricordo che tali modifiche cambiano soltanto l’uno per cento della legge, non ne intaccano la sostanza e costringono Regione a un taglio di 100 milioni di trasferimenti statali destinati alla realizzazione di strutture territoriali”.
Da dove derivi il calcolo dell’1 per cento della legge è difficile da capire, visto che le modifiche riguardano la metà dei 37 articoli della legge stessa.
Quanto, poi, al fatto che le modifiche possano essere considerate solo formali, a me rimangono molti dubbi, anzi, sono convinto che le modifiche rappresentino un netto cambio di rotta su questioni fondamentali quali le Case della Comunità, il rapporto con le strutture sanitarie private e la nomina dei dirigenti sanitari.
In realtà, mi pare che chi governa Regione Lombardia non voglia davvero cambiare un modello sanitario che ha dimostrato di non funzionare e che privilegia le prestazioni sanitarie (preferibilmente a pagamento) rispetto alla cura delle persone.
Lo dimostra anche la fretta con cui vengono inaugurate Case della Comunità che non sono altro che locali vuoti o, quando va bene, poliambulatori tinteggiati a nuovo. In questo modo si tradisce quanto previsto dal PNRR e che, in fondo, poteva essere l’unica vera novità della riforma sanitaria lombarda, ovvero una nuova organizzazione territoriale con una reale integrazione tra servizi sanitari, socio-sanitari e sociali.
Più che nuove sigle, che rischiano solo di creare una grande cortina fumogena, tra ATS, ASST, prima POT e PRESST, ora CdC e OdC…, servirebbe l’umiltà di ammettere che il sistema sanitario lombardo non ha funzionato e ha tradito una delle principali missioni del servizio sanitario nazionale, ovvero l’universalità dell’assistenza gratuita e un forte investimento sulla prevenzione.
Se non si torna a mettere al centro le persone, pazienti, medici, infermieri e altri operatori, continueremo a considerare la sanità solo come un grande business, come è stato e, mi pare, continua a essere nella Lombardia governata e immaginata dal centrodestra.