Siamo davvero pronti alla ripartenza? Molti ci stanno lavorando. Le raccomandazioni degli scienziati non mancano, ma, alla fine, la decisione non potrà che essere politica.
Il 3 maggio scadono il Decreto ministeriale e le Ordinanze regionali e dal giorno dopo dovranno entrare in vigore nuove regole che ci guideranno nella cosiddetta “Fase due”.
Ci sarà bisogno di procedure chiare, che saranno affidate alla responsabilità di cittadini e imprese, e di molti strumenti di protezione.
Insomma, al di là della voglia di ripartire, la “Fase due” avrà un costo. Chi se ne farà carico?
Cittadini e imprese sono già stati molto penalizzati dal cosiddetto lockdown, è importante che la ripresa non rappresenti un ulteriore colpo per le tasche e i bilanci degli italiani.
Semplificazione e burocrazia zero non possono rimanere solo degli slogan e quello che sta accadendo con i decreti Salva Italia e Liquidità, nonostante le buone intenzioni del Governo, non può lasciare tranquilli.
Giungono molte segnalazioni di imprenditori che non riescono ad ottenere immediatamente i 25.000 € di finanziamento previsti dal Governo. Le banche, nonostante la garanzia del Governo, si dilungano in verifiche e accertamenti che sono contrari allo spirito con cui è stato approvata la norma. Questo non è accettabile: il credito è garantito e va erogato immediatamente.
Ciascuno deve fare la sua parte, ma è importante che i costi non ricadano sempre sugli stessi soggetti.
E’ fondamentale vigilare anche sul costo del lavoro: le misure di sicurezza sanitaria richiederanno alle imprese di acquistare materiale di protezione e di riorganizzare la logistica della produzione. Si prevedano forme di agevolazione, fiscale e non, perché queste operazioni non diventino costi aggiuntivi che rischierebbero di mettere ulteriormente in difficoltà chi produce e deve stare sul mercato con i propri prodotti. Si è molto parlato, in queste settimane, della necessità di riportare in Italia la produzione di beni strategici e di prima necessità, così come di ritorno in Italia di imprese che avevano preferito andare a produrre all’estero, queste operazioni sarebbero però impossibili a fronte di un aumento del costo del lavoro e a un aggravio dei costi dei servizi determinato dall’emergenza sanitaria.
La salute dei cittadini e dei lavoratori deve stare al primo posto, ma la prevenzione e la sicurezza non possono diventare una sorta di ulteriore tassa occulta sulle spalle di imprese già molto provate da questi mesi di Covid-19.
Vorrei essere ancora più chiaro: lo stato si accolli i costi della sicurezza e sostenga le imprese. Cassa integrazione e contributi una tantum sono importanti, ma la cosa fondamentale è che le imprese, piccole, medie o grandi che siano, assicurino uno stipendio ai loro dipendenti. Le imprese sono un patrimonio fondamentale per il nostro Paese.
Abbiamo sentito dire da tutti i rappresentanti istituzionali che nessuno sarà abbandonato e che chi ha subito danni a causa dell’emergenza Covid-19 verrà adeguatamente sostenuto. E’ una promessa che va mantenuta: ogni livello istituzionale (dai comuni all’Unione Europea) deve fare tutto ciò che è nelle sue possibilità.
Postilla finale. Servono azioni coraggiose che il momento richiede e consente.
Ne cito due: la regolarizzazione dei lavoratori stranieri presenti sul nostro territorio (penso a braccianti e badanti, ma non solo) e una dura lotta all’evasione fiscale (da qui arriveranno risorse per sostenere imprese e categorie più fragili).
E’ ora di mettere sul tavolo provvedimenti che ostacolino l’enorme evasione fiscale. Se non avessimo l’evasione che i giornali dicono oggi avremmo affrontato questa emergenza in modo piu’ efficace. Oggi De Bartoli nella rubrica “il tempo sospeso” ha ben evidenziato questa lacuna.