Coronavirus: a proposito di mascherine e DPI

26 Marzo 2020 di fabio pizzul

In questi giorni sono letteralmente travolto, come penso un po’ tutti voi, da segnalazioni e richieste riguardo i cosiddetti DPI, dispositivi di protezione individuale, le mascherine, per intenderci. Da oggetto che vedevamo a Milano sui volti di qualche turista asiatico spaventato dalle notizie sullo smog della Pianura Padana, sono diventate un vero bene di prima necessità. Battute a parte, oggetti banali da produrre e da acquistare sono diventati letteralmente introvabili. Non si capisce neppure chi li stia distribuendo e con quali criteri. Anche la linea di fornitura di emergenza non è così trasparente come dovrebbe e questo crea disagi, equivoci e inutili tensioni.

Da ormai un mese a questa parte non si capisce quale sia la reale situazione dell’approvvigionamento dei DPI. Chiunque intervenga, a livello tecnico o politico, afferma che ci sono difficoltà di approvvigionamento, ma promette (ha promesso) anche che nel giro di pochi giorni tutto sarebbe stato risolto. I giorni sono passati e la situazione non sembra cambiata. La stessa corsa per dare vita a una filiera italiana o lombarda di produzione di DPI sta avanzando a un ritmo molto più lento di quello che era stato annunciato e previsto.
La situazione è complicata, nessuno può negarlo, ma la comunicazione ha avuto un ruolo determinante nel creare più che gestire a crisi delle mascherine.
La prima cosa da dire è che nessuno ha pensato per tempo a rifornirsi di un quantitativo adeguato di strumenti di protezione.
Nel momento in cui ci si è mossi per recuperare il tempo perduto, il mercato internazionale era già, di fatto bloccato, ed erano già entrati in azione speculatori di vario genere rendendo molto complicati gli acquisti.
Abbiamo perso molto tempo in polemiche e accusa reciproche tra diversi livelli istituzionale. Il problema non è trovare qualcuno a cui dare la colpa, ma fare arrivare a tutti coloro che ne hanno bisogno i dispositivi necessari.
Abbiamo anche assistito al fiorire di moltissime iniziative sul territorio, c’è chi ha acquistato personalmente mascherine da portare in RSA o altri centri sociali, chi ha confezionato mascherine artigianali prendendo spunto da indicazioni su Internet, chi ha messo in piedi piccoli centri di produzione di mascherine con materiale recuperato alla meglio. Una creatività e una solidarietà silenziosa che fanno onore alla nostra gente lombarda e non solo. C’è anche chi ha scelto di utilizzare la distribuzione di mascherine come occasione di autopromozione personale, facendo un giro di consegne, con tanto di fotocronaca e contatore sui social, riservato ai sindaci del proprio partito (Lega per intenderci, se volete il nome del protagonista lo trovate facilmente cercando tracce riguardo comuni come Cologno Monzese, Trezzo sull’Adda, Senago, Sesto San Giovanni e Cormano).
L’arte dell’arrangiarsi è sempre stata tipica degli italiani, ma credo che in tutta questa storia ci sia un problema più generale.
Per gestire un’emergenza serve maggiore trasparenza, univocità  e tempestività di comunicazione: non siamo in grado di sapere quanti sono i DPI effettivamente disponibili e come sono stati distribuiti.
Se la Protezione Civile per il livello nazionale e Regione Lombardia per quello locale avessero, fin da subito, concordato un sistema di rendicontazione precisa di tutto ciò che era disponibili e di come veniva distribuito, probabilmente avremmo creato meno allarme e più consapevolezza di come ci si stia tutti impegnando nella stessa direzione.

Chiudo con una nota di ottimismo, dall’inizio di aprile dovrebbe essere a regime una filiera di produzione lombarda e italiana di mascherine e questo problema dovrebbe essere finalmente risolto.
Ho usato il condizionale e spero di non venire smentito.

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