Coronavirus: dare i numeri o usare i numeri?

25 Marzo 2020 di fabio pizzul

I numeri in questi giorni ci angosciano con la terribile conta dei morti, dei contagiati, dei ricoverati in terapia intensiva… I numeri (dati) possono salvarci la vita, perché ci potrebbero consentire di arginare il contagio tracciando i contatti. I numeri sono, da sempre, strumento di propaganda e di potere. I numeri, se male utilizzati, sono fonte di grande confusione, se utilizzati bene ci danno indicazioni fondamentali per le nostre scelte. I numeri sono i grandi protagonisti di questi giorni, nel bene e, spesso, nel male. A partire dal fatto che i numeri dei contagiati e, purtroppo, dei morti sono sottostimati rispetto alla realtà.

Solo due esempi, senza alcun intento polemico, giusto per capirci e provare a riflettere assieme.
Buona l’idea di scegliere un’app per tracciare spostamenti contatti dei positivi e dei loro contatti. Come spesso accade nel nostro Paese ci stiamo arrivando tardi, ma potrebbe essere uno strumento fondamentale pur utilizzare i dati in modo da indirizzare le nostre scelte e non giustificarle a posteriori.
Meno buono il modo in cui vengono comunicati quotidianamente i dati relativi al contagio: spesso i numeri non sono confrontabili tra regioni, vengono forniti in modo approssimativo (provate a rivedervi uno qualsiasi dei video su Facebook dell’assessore Gallera), non sono “depurati” da possibili elementi distorsivi, servono per giustificare ciò che si è fatto più che per decidere che cosa fare.
I numeri in sé non fanno miracoli, dipende da come li usiamo.
E’ sempre attuale un aforisma di Mark Twain che amava citare anche un “mago” giornalistico dei numeri come Federico Bini: “la gente di solito usa le statistiche [i numeri, interpreto io] come un ubriaco i lampioni: più per sostegno che per illuminazione”.

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