Siamo tutti impegnati in una battaglia. Fondamentale è però
riconoscere il nemico. Ne abbiamo uno solo e si chiama Covid-19. Non sempre,
però, in questi giorni questo assunto, che pare così banale, si concretizza in
comportamenti conseguenti. E’ bene ricordare che solo uniti si può vincere e
che il contributo di tutti, nessuno escluso, è fondamentale per raggiungere l’obiettivo
di fermare un’epidemia subdola e pericolosa. Le mie possono sembrare parole
banali, anzi, dovrebbero esserlo, ma purtroppo non è così.
Provo a spiegarmi con alcuni esempi che intendono fare riflettere me stesso
prima ancora che giudicare qualcuno.
Partiamo da lontano, ovvero dagli Stati Uniti.
La corsa all’acquisto di armi che ci viene raccontata dai giornali di oggi è un
chiaro indice del fatto che il nemico viene individuato non nel virus, ma negli
altri che potrebbero minacciare la nostra incolumità. Una pistola non serve a
nulla contro Covid-19, eppure molti americani se ne stanno dotando. L‘altro
diventa nemico, non alleato nella lotta contro il virus. Lo stesso presidente
Trump non si è sottratto a questa logica, tentando di acquistare da un’azienda
tedesca il brevetto di un possibile farmaco, così da utilizzarlo in esclusiva
per gli USA. Difendere se stessi contro gli altri non è certo il miglior modo
per trovare una soluzione contro Covid-19 che sarà frutto solo di una stretta
collaborazione planetaria. L’atteggiamento di Trump ha provocato un altro problema
mondiale, l’esplosione dei prezzi dei reagenti per l’individuazione del virus, perché
il presidente americano ha deciso di togliere le disponibilità americane dal
mercato.
Veniamo più vicino a noi. Consentitemi una battuta: un pistola può fare più
danni di una pistola.
La vicenda dei DPI, i dispositivi di protezione individuale, è paradigmatica: non ce ne sono più sul mercato perché ciascun paese vuole accaparrarseli per sé e, fatto ancora più grave, perché ci sono speculatori che stanno tentando di fare affari comprando mascherine, guanti e altri strumenti per poi rivenderli a prezzi maggiorati; per non parlare dei truffatori che sono in azione sui mercati. Anche questa è una forma di guerra che scardina una delle regole fondamentali di fronte ad epidemie globali: nessuno si salva da solo.
Un terzo esempio riguarda noi italiani. Senza distinzione di
colori o territori.
Il virus non conosce confini, è banale dirlo. Eppure siamo di fronte a
quotidiani tentativi di salvare il proprio territorio quasi a voler dimostrare
che “noi” siamo più bravi di “voi”, ovvero che “noi” ci preoccupiamo di proteggere
i “nostri” e “voi” non volete o non siete in grado di farlo. Obiettivo di questo
atteggiamento non sembra essere (solo) il contenimento del virus, quanto la
necessità di dimostrare che si è più bravi di qualcun altro. Non si capirebbe,
altrimenti, il perché di un continuo puntare il dito in pubblico che sostituisce
l’auspicabile e necessario accordo nelle sedi deputate.
Non è dissimile l’atteggiamento di chi pensa più alle conseguenze politiche di
una possibile operazione che all’utilità pratica della stessa. Anche in questo
caso, il nemico rischia di diventare l’avversario politico piuttosto che Covid-19.
Guai a chi, imprenditore, intellettuale, politico o chi volete voi dovesse far passare l’idea di aver più a cuore il proprio destino personale o di gruppo rispetto alla necessità di proteggere i cittadini, soprattutto i più deboli, di fronte a una minaccia come questo coronavirus.
Ci stiamo tutti giustamente scandalizzando dell’atteggiamento del premier britannico Boris Johnson, che ha deciso (per ora) di anteporre le esigenze economiche e politiche alla salute dei suoi cittadini e alla necessaria collaborazione internazionale. In fondo, magari senza che ce ne accorgiamo, siamo un po’ tutti come lui nel momento in cui crediamo che a noi sia consentito, da cittadini, non rispettare rigorosamente le regole, o, da portatori di qualche responsabilità, pensare più a che cosa ci conviene che a quello che sia giusto fare. Gli esempi concreti me li tengo per un’altra volta.