
Entrare nel IV raggio di San Vittore, abbandonato da decenni, è un’esperienza davvero singolare. Il tempo sembra essersi fermato negli anni ’70, il freddo è pungente, i muri e le celle che si intravvedono dagli spioncini regalano un viaggio nel tempo. Se poi nel raggio fari a led illuminano le fotografie artistiche di Margherita Lazzati, la magia è completa. Ma anche drammatica.
E’ stato la degna conclusione del percorso “San Vittore,
quartiere della città”, promosso nel carcere milanese dall’associazione Verso
Itaca. Un progetto che ha raccolto 49 storie di vita del carcere, attraverso
interviste autobiografiche realizzate negli scorsi mesi. Operatori, volontari e
detenuti hanno raccontato se stessi, i loro sogni sulla vita e sul carcere,
mettendo a nudo emozioni e dolori.
Tredici storie sono state lette ieri sera nella Rotonda di San Vittore in un’atmosfera
di grande emozione e condivisione.
Pensare a San Vittore come a un quartiere di Milano significa tentare di
abbattare il muro che separa il carcere dalla città, quel muro fatto di
ipocrisia e paure, nella folle idea che “buttare via la chiave” possa essere un
modo per rendere tutti noi più sicuri.
Pensare a San Vittore come a un quartire di Milano significa anche riconoscere
la forte dimensione simbolica del carcere che costringe a tenere assieme storie
diverse, spesso drammatiche, e le consegna alla società perché possano essere
restituite a relazioni meno violente e malate.
Una serata densa di umanità e di speranza che conclude un percorso e lancia una
mostra fotografica che, dopo una permanenza in carcere, verrà liberata e
diventerà itinerante. Le fotografie di Margherita Lazzati raccontano aspetti
nacosti di San Vittore e li trasformano attraverso la poesia delle immagini che
evocano sofferenze e speranze di chi è costretto ad abitare quegli spazi.
Una bella serata che non può però nascondere una domanda: San Vittore è una
salutare provocazione per Milano ed è un bene che sia nel centro della città, ma
difendere questa struttura datata e malconcia è compatibile con il rispetto di
chi è costretto a viverci dentro?