Riaffermare la propria identità è segno di forza, dialogare
è segno di debolezza. Non penso di poter essere smentito se dico che
l’affermazione appena fatta è oggi largamente condivisa, in ambito religioso
così come politico. E’ proprio l’identità che oggi qualifica la forza di un
gruppo o di una proposta e questo sta creando una nuova saldatura tra religione
e politica, in nome della difesa di una tradizione che rassicura, protegge e
garantisce di fronte a una globalizzazione che tutto rende uguale, freddo,
minaccioso e lontano.
Queste considerazioni sembrano fare a pugni con la proposta di dialogo e
confronto che la chiesa propone in questi giorni. Oggi si celebra la Giornata
del dialogo ebraico cristiano (sarebbe il 17 gennaio, ma viene anticipata per
rispetto dello Shabbath) e da domani inizia la Settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani.
Io credo che valga la pena di vivere il dialogo. Provo a spiegarvi perché.
La religione oggi pare diventare riserva di senso per le
forze culturali e politiche che promuovono la chiusura e il ritorno a una
dimensione di contrapposizione nei confronti di chi teorizza il dialogo e
l’apertura verso altre culture e tradizioni. Chiusura è sinonimo di sicurezza,
apertura di pericolo.
E’ così che, a livello cattolico, si pensa più sicuro tornare a forme
liturgiche più rigorose, a pratiche devozionali più ostentate, a riflessioni
teologiche più rigide, nell’idea che ogni cedimento al dialogo sia un
arretramento rispetto al baluardo che la religione rappresenta per il pensiero
e la cultura occidentale.
Una religione di questo genere rassicura e dà l’impressione di proteggere.
Ogni dialogo con diverse confessioni o religioni viene così considerato un
indebolimento della propria sicura posizione di presidio della verità. Il
cardinale Walter Kasper, nel suo “Chiesa cattolica”, a questo proposito scrive:
“Alcuni pensano che con l’ecumenismo si diventi meno cattolici. E’ vero invece
il contrario. Nell’incontro con gli altri cristiani si viene arricchiti, ma si
scopre di nuovo anche la propria ricchezza e la bellezza della Chiesa
cattolica” (la citazione è tratta dal bel volume di don Giuliano Savina “Formare
la coscienza per affinare lo sguardo”, EDB).
Il dialogo è condizione per mantenere viva la propria identità, che cresce solo
in un rapporto fecondo con chi è diverso da noi. La religione può essere,
allora, una riserva di senso per una sempre più vuota cultura occidentale solo
se la conduce fuori da un individualismo autoreferenziale, che porta alla
disperazione di chi si sente assediato e minacciato. Il Natale che abbiamo
appena celebrato non ci fa dire al mondo, miscredetente e minaccioso: “Io ho un
dio più forte del tuo”. Il Dio di Gesù è re perché fa spazio all’altro, si
abbassa per essere compagno dei più deboli e, in questo modo, vincere la
disperazione di chi si accorge che la forza non basta per salvare, neppure se
stessi.
L’identità cristiana è forte quando si apre agli altri, fragile quando crede di
bastare a se stessa.
Buone giornate di dialogo e confronto, allora, per rafforzare la propria
identità cristiana!