
Quarant’anni fa veniva ucciso Piersanti Mattarella, all’epoca
presidente della regione Sicilia.
Esponente di spicco della Democrazia Cristiana, Mattarella si inseriva all’interno
della tradizione cattolico democratica e rappresentava la punta più avanzata di
un rinnovamento che aveva portato aria nuova anche nella complicata Sicilia di
allora. Fu proprio questa sua dimensione innovativa e la sua estrema dirittura
morale che lo trasformarono in bersaglio per gruppi che si muovevano nell’illegalità
e difendevano interessi contrari alle istituzioni.
Ancora oggi non si conoscono gli esecutori materiali del
delitto, anche se il coinvolgimento di Cosa Nostra è stato dimostrato a livello
giudiziario. Nel 1995, per il suo omicidio vengono condannati
definitivamente all’ergastolo i boss della cupola: Salvatore Riina,
Michele Greco, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò e Nené Geraci. Rimangono da
chiarire possibili collusioni tra Mafia e ambienti dell’eversione dell’estrema
destra. L’assassinio di Piersanti Mattarella si collocò in un periodo difficile
per le nostre istituzioni e lo stesso Giovanni Falcone nel 1988, in un’audizione
presso la Commissione Nazionale Antimafia solo recentemente desecretata, parlò
di questi possibili collegamenti che avrebbero potuto portare fino ad ambienti
responsabili della strage della stazione di Bologna, dello stesso 1980.
La memoria e l’eredità di Piersanti Mattarella non sono state però cancellate:
la testimonianza più alta rimane quella del fratello, Sergio, che sta servendo
le istituzioni in modo rigoroso e impeccabile da Presidente della Repubblica.
Il contributo di Piersanti Mattarella non fu solo amministrativo, il suo
pensiero politico era tra i più avanzati nell’ambito della Democrazia
Cristiana, così come la sua riflessione sulle autonomie locali.
Solo a titolo di esempio, riporto qui di seguito la parte finale di una
relazione che l’allora Presidente della Regione Sicilia tenne alla tavola
rotonda sul tema Popolarismo e autonomie tenutasi nell’ambito della festa
nazionale dell’amicizia organizzata dalla D.C. a Modena l’11 settembre 1979.
Il pensiero di Mattarella andava già alle elezioni regionali del 1980 con
interessanti e ancora attuali riflessione sull’autonomia e la funzione degli
enti locali.
Ma qual è in definitiva l’esperienza politica che le Regioni porranno sotto gli occhi degli elettori del 1980? È essa una esperienza positiva? Si assiste sempre più di frequente a pianti antiregionalistici e talvolta sembra che la realtà regionale non riesca ad uscire da un circuito negativo che ha da un lato le accuse di inefficienza sovente interessate di tanta parte dello schieramento politico (penso per esempio, accanto a taluni «nordisti», ad un noto meridionalista come l’onorevole Compagna di cui è nota la avversione antiregionalista) e dall’altro le frustrazioni di un potere tuttavia non pienamente realizzato. Sotto gli occhi delle comunità regionali sono una serie di proposte, talune originarie tal’altre derivate da competenze statali troppo frettolosamente cedute senza creare prima gli strumenti per un effettivo esercizio delle stesse. Fra le prime basta ricordare il territorio e la gestione, i comprensori e gli enti intermedi, le unità locali, il decentramento urbano, la partecipazione, tutte cose in fase di faticosa elaborazione, non ancora uscite dal limbo di una convegnistica sovente fine a se stessa. Fra le seconde basta ricordare la riforma sanitaria, i beni culturali, la stessa programmazione. E a quest’ultimo riguardo anzi — e lo accennavo all’inizio — si registra una tendenza pericolosa e assai insistente fondata su una sorta di riappropriazione, sopratutto attraverso programmazioni settoriali, di competenze che avviene di fatto da parte dello Stato. Essa può avere radici nella gestione di una crisi economica assai grave che esige spesso decisioni finanziarie e monetarie certo non decentrabili. Ma accanto a questo elemento, che se è comprensibile non è per questo meno grave, se ne registrano altri chiaramente collegati a volontà accentratrici, assai difficilmente disponibili a delegare competenze e poteri spesso di fatto e che danno a noi meridionali, nelle non infrequenti occasioni di incontro a Roma a livello ministeriale o magari interregionale, la netta sensazione che «i giochi siano già stati fatti altrove» e che le discussioni procedano stancamente per arrivare a decisioni prese in precedenza. Ne è sorta una massiccia dose di frustrazione e di risentimenti di cui i sintomi cui prima accennavo sono i primi segnali e a cui occorre provvedere prima delle scadenze elettorali, sia attraverso una più giusta redistribuzione e allocazione delle risorse al centro, sia attraverso la organizzazione in periferia di gestioni efficienti. Non si tratta certo di una azione facile nè priva di ostacoli; e in essa tuttavia il nostro Partito, proprio per la tradizione di cui è portatore, deve porsi in primo piano. Occorre in definitiva, cari amici, recuperare in pieno nello svolgimento della nostra azione quotidiana quei valori di autonomia e popolarismo che costituiscono binomio inscindibile del nostro passato e che devono essere suggello quotidiano del nostro presente e del nostro futuro. Sono i valori che garantiscono la nostra piena democraticità, del resto mai messa in discussione. Sono valori tipicamente democratici: da un lato le radici popolari del movimento, dall’altro il rispetto per le peculiarità di ognuno per le origini, per le tradizioni, per l’autogoverno. Due temi intersecantisi di una realtà complessa e difficile come quella del nostro Paese, ricco di diversità piuttosto che di uniformità, anche se questo talvolta può costare. Ed in questa vicenda il Mezzogiorno gioca un ruolo ancora estremamente significativo, quel Mezzogiorno che per Sturzo era serbatoio non solo di energie politiche e di potenzialità economiche ma anche e sopratutto di valori morali e civili originari, custoditi gelosamente nella severità del costume, come patrimonio inalienabile. Quello stesso Mezzogiorno che ancora oggi «tiene» nonostante tutto e che consente al nostro Partito di mantenere un primato politico che non è e non è mai stato fine a se stesso ma che invece resta, proprio per le premesse da cui nasce — popolarismo e autonomie appunto — la migliore garanzia per la libertà e la democrazia nel nostro Paese.
Chi volesse approfondire il pensiero di Piersanti Mattarella può utilmente consultare i due volumi intitolati “Piersanti Mattarella – Scritti e discorsi”, pubblicati dall’ARS Assemblea Regionale Siciliana e scaricabili ai seguenti link
https://www.ars.sicilia.it/sites/default/files/downloads/2018-10/Documento%20%289%29.pdf
https://www.ars.sicilia.it/sites/default/files/downloads/2018-10/VolumeII.pdf