Milano e l’Italia. Un rapporto da sempre travagliato, ma necessario. Milano corre, l’Italia non sempre riesce a muoversi a una velocità accettabile. Lo ha sottolineato, nei giorni scorsi, in modo ruvido il ministro per il Sud Provenzano. Ne abbiamo parlato ieri sera in un interessante incontro presso il circolo PD milanese di Porta Romana in collaborazione con il circolo tematico Iusdem. Molti gli spunti per una riflessione ancora tutta da fare.
Il compito di introdurre la serata è toccato a Paolo
Manfredi, responsabile delle strategie digitali di Confartigianato e autore del
libro “Provincia non periferia. Innovare le diversità italiane” (ed. EGEA).
Manfredi ha parlato di una provincia in crisi per una endemica difficoltà a
intercettare innovazione ed economia della conoscenza. Esiste ormai un fossato profondo
tra città come Milano e province, ma non è un fenomeno solo italiano, tanto che
Andrés Rodriguez-Pose della London School of Economics ha parlato di
“vendetta dei territori che non contano” a proposito di fenomeni come la
Brexit.
Ormai le diseguaglianze non sono solo di censo, ma di territorio. Milano è l’unica
vera metropoli italiana, ma rischia di essere troppo piccola per competere a
livello globale, per questo ha bisogno di allargare la sua azione attrattiva
ben oltre i confini amministrativi della città metropolitana.
La provincia italiana, secondo Manfredi, ha contribuito in maniera determinante
allo sviluppo economico del nostro Paese, lì è nato il “made in Italy”, in
distretti industriali che ora però non sono in grado di intercettare e vivere
le nuove competenze dell’innovazione.
I territori italiani che non contano, per riprendere l’espressione di
Rodriguez-Pose, sono, secondo Manfredi, molti più di quelli censiti e
presentano molti problemi anche dal punto di vista delle reti di solidarietà
sociale e del presidio istituzionale, dal sistema bancario a quello dei corpi
intermedi.
Il responsabile delle strategie digitali di Confartigianato ha concluso il suo
intervento con due proposte concrete: un servizio civile a favore dei territori
per restituire loro competenze ed energie e l’idea che Milano diventi
acceleratore dell’intero Paese.
Il professor Paolo Masciocchi, cultore di materie giuridiche presso l’Università
degli Studi di Milano, ha sottolineato come l’Italia abbia da tempo perso il
treno dell’economia della conoscenza e fatica a trovare un modello alternativo
alle proposte neo keynesiane di intervento pubblico e monetarista, di stampo
finanziario. Il problema, secondo Masciocchi, è riuscire a dare valore
economico a processi immateriali presenti nei nostri territori (dalla cura all’impegno
sociale) e come, di converso, valutare correttamente i bisogni dei territori
stessi. La vera scommessa dovrebbe essere quella di spostare l’attenzione dalle
tecnologie ai servizi, attraverso una capacità di autentico ascolto dei
territori: più che costruire infrastrutture, dobbiamo costruire servizi
sostenibili per le persone. L’economia della conoscenza, ha concluso Masciocchi,
può davvero essere motore di attrattività, di connessione, di densificazione
economica e sociale, come sta dimostrando Milano che non deve rimanere isolata.
Arianna Censi, vicesindaco della Città Metropolitana di Milano, ha raccolto
volentieri le riflessioni dei due interlocutori e ha subito sottolineato come
Milano non abbia dimensioni sufficienti per giocar il ruolo di metropoli a
livello globale: serve allargare l’influsso e le relazioni di Milano. E’ una
sfida che si deve giocare sulla qualità e la competenza della classe politica
che fa sempre più fatica a trovare spazi e a crescere in territori che hanno
visto cancellare molti presidi istituzionali, tanto che la Censi ha parlato di
territori che possono solo vivere una cultura della sopravvivenza
istituzionale. Arianna Censi ha concluso auspicando che, come si evince dal
libro di Manfredi, si rinnovi uno scambio di esperienze e buone pratiche tra le
diverse città che interpretano meglio della provincia le nuove prospettive dell’innovazione
e dell’economia della conoscenza.
Ho avuto anch’io la possibilità di portare il mio contributo alla discussione.
Ho voluto sottolineare come, nel prendere atto del fatto che anche in Italia ci
sono molti “territori che non contano”, sia necessario avere una grande
attenzione alle fragilità di tanti cittadini che chiedono protezione di fronte
alle conseguenze di una globalizzazione che molti vedono come minacciosa.
Alcuni movimenti politici cavalcano le paure e le fragilità e conquistano largo
consenso con sterili proposte sovraniste, come centrosinistra non siamo
purtroppo in grado di far sì che la paura si trasformi in voglia di riscatto e
in coraggio. E’ bene, tra l’altro, ricordare come le fragilità non siano
esclusiva delle aree meno sviluppate della provincia, ma riguardino larghe
fette delle città, Milano compresa. Alle difficoltà di carattere economico si
deve aggiungere una crescente debolezza delle reti sociali; compito di una
politica lungimirante dovrebbe essere quello di valorizzarle e rafforzarle.
Ho anche voluto ricordare come l’architettura istituzionale immaginata dalla
nostra Costituzione sia, almeno in parte fallita, trovando nelle regioni un
punto di debolezza a causa della loro tendenza a diventare centri di gestione
di spesa piuttosto che enti legislativi capaci di programmazione e
coordinamento dei livelli istituzionali più vicini ai territori. Il percorso
verso l’autonomia potrebbe essere un’occasione per recuperare una migliore
articolazione delle diverse funzioni istituzionali per non trasformare in
centralismo nazionale in centralismo regionale.
Ho trovato molto interessante il dibattito di ieri sera e credo che abbia
suggerito temi su cui è necessario riflettere per far sì che l’energia di
Milano possa davvero essere messa a servizio dell’intera Italia.
Milano è la piattaforma attraverso cui l’Italia, anche la provincia italiana,
può affacciarsi all’Europa e al mondo.
Milano deve essere esempio per L’Italia ed Europa. MilanoMetropoli deve sviluppare la propria cultura in particolare nelle periferie.
Grazie per l’attenzione.