Milano e il peso dei territori che non contano

19 Novembre 2019 di fabio pizzul

Milano e l’Italia. Un rapporto da sempre travagliato, ma necessario. Milano corre, l’Italia non sempre riesce a muoversi a una velocità accettabile. Lo ha sottolineato, nei giorni scorsi, in modo ruvido il ministro per il Sud Provenzano. Ne abbiamo parlato ieri sera in un interessante incontro presso il circolo PD milanese di Porta Romana in collaborazione con il circolo tematico Iusdem. Molti gli spunti per una riflessione ancora tutta da fare.

Il compito di introdurre la serata è toccato a Paolo Manfredi, responsabile delle strategie digitali di Confartigianato e autore del libro “Provincia non periferia. Innovare le diversità italiane” (ed. EGEA).
Manfredi ha parlato di una provincia in crisi per una endemica difficoltà a intercettare innovazione ed economia della conoscenza. Esiste ormai un fossato profondo tra città come Milano e province, ma non è un fenomeno solo italiano, tanto che  Andrés Rodriguez-Pose della London School of Economics ha parlato di “vendetta dei territori che non contano” a proposito di fenomeni come la Brexit.
Ormai le diseguaglianze non sono solo di censo, ma di territorio. Milano è l’unica vera metropoli italiana, ma rischia di essere troppo piccola per competere a livello globale, per questo ha bisogno di allargare la sua azione attrattiva ben oltre i confini amministrativi della città metropolitana.
La provincia italiana, secondo Manfredi, ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo economico del nostro Paese, lì è nato il “made in Italy”, in distretti industriali che ora però non sono in grado di intercettare e vivere le nuove competenze dell’innovazione.
I territori italiani che non contano, per riprendere l’espressione di Rodriguez-Pose, sono, secondo Manfredi, molti più di quelli censiti e presentano molti problemi anche dal punto di vista delle reti di solidarietà sociale e del presidio istituzionale, dal sistema bancario a quello dei corpi intermedi.
Il responsabile delle strategie digitali di Confartigianato ha concluso il suo intervento con due proposte concrete: un servizio civile a favore dei territori per restituire loro competenze ed energie e l’idea che Milano diventi acceleratore dell’intero Paese.
Il professor Paolo Masciocchi, cultore di materie giuridiche presso l’Università degli Studi di Milano, ha sottolineato come l’Italia abbia da tempo perso il treno dell’economia della conoscenza e fatica a trovare un modello alternativo alle proposte neo keynesiane di intervento pubblico e monetarista, di stampo finanziario. Il problema, secondo Masciocchi, è riuscire a dare valore economico a processi immateriali presenti nei nostri territori (dalla cura all’impegno sociale) e come, di converso, valutare correttamente i bisogni dei territori stessi. La vera scommessa dovrebbe essere quella di spostare l’attenzione dalle tecnologie ai servizi, attraverso una capacità di autentico ascolto dei territori: più che costruire infrastrutture, dobbiamo costruire servizi sostenibili per le persone. L’economia della conoscenza, ha concluso Masciocchi, può davvero essere motore di attrattività, di connessione, di densificazione economica e sociale, come sta dimostrando Milano che non deve rimanere isolata.
Arianna Censi, vicesindaco della Città Metropolitana di Milano, ha raccolto volentieri le riflessioni dei due interlocutori e ha subito sottolineato come Milano non abbia dimensioni sufficienti per giocar il ruolo di metropoli a livello globale: serve allargare l’influsso e le relazioni di Milano. E’ una sfida che si deve giocare sulla qualità e la competenza della classe politica che fa sempre più fatica a trovare spazi e a crescere in territori che hanno visto cancellare molti presidi istituzionali, tanto che la Censi ha parlato di territori che possono solo vivere una cultura della sopravvivenza istituzionale. Arianna Censi ha concluso auspicando che, come si evince dal libro di Manfredi, si rinnovi uno scambio di esperienze e buone pratiche tra le diverse città che interpretano meglio della provincia le nuove prospettive dell’innovazione e dell’economia della conoscenza.
Ho avuto anch’io la possibilità di portare il mio contributo alla discussione.
Ho voluto sottolineare come, nel prendere atto del fatto che anche in Italia ci sono molti “territori che non contano”, sia necessario avere una grande attenzione alle fragilità di tanti cittadini che chiedono protezione di fronte alle conseguenze di una globalizzazione che molti vedono come minacciosa. Alcuni movimenti politici cavalcano le paure e le fragilità e conquistano largo consenso con sterili proposte sovraniste, come centrosinistra non siamo purtroppo in grado di far sì che la paura si trasformi in voglia di riscatto e in coraggio. E’ bene, tra l’altro, ricordare come le fragilità non siano esclusiva delle aree meno sviluppate della provincia, ma riguardino larghe fette delle città, Milano compresa. Alle difficoltà di carattere economico si deve aggiungere una crescente debolezza delle reti sociali; compito di una politica lungimirante dovrebbe essere quello di valorizzarle e rafforzarle.
Ho anche voluto ricordare come l’architettura istituzionale immaginata dalla nostra Costituzione sia, almeno in parte fallita, trovando nelle regioni un punto di debolezza a causa della loro tendenza a diventare centri di gestione di spesa piuttosto che enti legislativi capaci di programmazione e coordinamento dei livelli istituzionali più vicini ai territori. Il percorso verso l’autonomia potrebbe essere un’occasione per recuperare una migliore articolazione delle diverse funzioni istituzionali per non trasformare in centralismo nazionale in centralismo regionale.
Ho trovato molto interessante il dibattito di ieri sera e credo che abbia suggerito temi su cui è necessario riflettere per far sì che l’energia di Milano possa davvero essere messa a servizio dell’intera Italia.
Milano è la piattaforma attraverso cui l’Italia, anche la provincia italiana, può affacciarsi all’Europa e al mondo.  

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