
Era il 1961 quando l’allora Arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini entrava in via Tadino per inaugurare la nuova sede della CISL cittadina. A quasi 60 anni di distanza un altro arcivescovo varca la soglia della sede, si tratta di mons. Delpini che ieri è stato accolto dalla segretaria generale Annamaria Furlan e dai segretari generali lombardo e milanese Duci e Gerla.
Un’occasione per parlare di lavoro, solidarietà e futuro.
Dopo il saluto di Carlo Gerli, hanno preso la parola due rappresentanti della CISL territoriale, il delegato dello stabilimento della birra Poretti nell’Alto Milanese, che ha lottato per ridurre gli esuberi ed è stato licenziato ma poi reintegrato (tra gli applausi dei colleghi che aveva aiutato), e un immigrato del Mali che ha studiato italiano e si è messo a disposizione della sua comunità locale, ma non ha più il permesso di soggiorno.
E’ stata poi la volta di Annamaria Furlan che ha voluto subito precisare come il sindacato non può mai essere neutrale. Il ruolo della CISL, secondo la segretaria, è affermare i valori dell’uomo e della donna nel lavoro. “Da un po’ di tempo” ha detto la Furlan “ci sentiamo meno soli anche per le parole di papà Francesco che ha ribadito, nel suo intervento all’Ilva di Genova, come le persone debbano trovare la loro dignità attraverso il lavoro e non i sussidi”.
Secondo la segretaria generale, non c’è futuro se attraverso accoglienza e solidarietà non riusciamo a creare un’Italia migliore: la solidarietà può essere un modello sociale da mettere a disposizione dell’intera società. Furlan ha chiuso il suo intervento con un appello ai vescovi: “fateci sentire di avere vicino la vostra parola e il vostro indirizzo”.
L’atteso intervento di mons. Delpini, lo ha visto esordire con un ricordo di famiglia: “ho conosciuto la Cisl perché mio papà aveva nel portafoglio, tra le tante, anche la tessera della CISL”.
Ripercorrendo le tante sfide del lavoro, l’Arcivescovo di Milano ha citato il tema della mancanza e della precarietà del lavoro, l’arrivo di nuove tecnologie che mettono in discussione il contributo dell’uomo, la spersonalizzazione che porta spesso a non avere come interlocutore un imprenditore, ma la finanza. Questi e altri elementi rendono più evidenti le fragilità dei lavoratori, messi di fronte alla necessità di competenze sempre più complesse in una realtà resa molto complessa e quasi minacciosa dalla globalizzazione e dall’individualismo.
Il sindacato, di fronte a queste sfide, rischia secondo Delpini di diventare centro di servizi più che luogo di solidarietà.
Non bisogna però abbandonarsi al lamento sui tempi cattivi, anche perché i tempi sono sempre stati difficili, anche per il sindacato: si è fatto molto per garantire condizioni migliori per i lavoratori, ma si aprono sempre nuove sfide.
L’Arcivescovo ha voluto poi dire la sua gratitudine per la storia e l’impegno della CISL che è patrimonio di competenza e visione: autonomia, associazione e contrattazione sono valori importanti a servizio dei lavoratori.
Il tema della formazione, ha continuato Delpini, é rilevante e non può essere limitato alla tecnica, ma può e deve diventare sostegno alla fragilità morale e personale per far emergere il meglio di ciascuno.
Non sono mancate tre indicazioni pratiche per la CISL milanese.
A partire dall’apprezzamento per la capillarità della presenza, che é sostegno concreto alle persone, Delpini ha affidato al sindacato la vocazione alla collaborazione, all’alleanza con le altre realtà presenti: abitare lo stesso territorio deve spingere a stringere alleanze costruttive per salvare le persone dalla deriva individualistica. La chiesa incoraggia queste alleanze soprattutto per sottrarre i giovani al disimpegno e indurli all’impegno sociale.
L’Arcivescovo ha poi voluto citare la capacità di dialogo: “sono persuaso che sia da coltivare la fiducia critica nel confronto, nel dialogo, nella contrattazione per raggiungere soluzioni magari parziali, ma migliori della frattura che spacca e divide”. La differenza non è istigazione allo scontro, ma condizione per il confronto costruttivo, nella stima per l’altro, anche quando é avversario, mai nemico.
Una terza indicazione ha un sapore più ampio: serve una visione europea e planetaria della storia che stiamo vivendo. La visione dell’Europa, ha continuato Delpini, ci deve coinvolgere in una necessaria ottica più ampia del nostro territorio.
L’ultima parte dell’intervento dell’Arcivescovo di Milano ha proposto una riflessione sul ruolo dei cristiani nella società: non hanno solo la funzione del pronto soccorso e neppure di portatori di un’utopia solo ultraterrena. I cristiani, come recitava la Lettera A Diogneto, sono anima del mondo, sono principio di vita e di speranza. Questo significa, secondo Delpini, essere profeti, non tacere di fronte alle ingiustizie e agli idoli che pretendono sacrifici umani, come il profitto e il successo, non fermarsi agli slogan del momento e alla banalità, non cercare sollievo nell’individuazione di capri espiatori o nel seguire capi indiscussi.
La parola profetica, ha precisato il Vescovo, dice che nessuna realizzazione può soddisfare, bisogna sempre ricominciare, consapevoli che nessuna realizzazione é adeguata e deve accontentarci, il profeta va sempre oltre. Serve anche la capacità di proposte alternative che si alimentino a visioni forti del mondo e dell’uomo, il cristiano intuisce che la storia si può fare in modo diverso, non solo secondo la logica del profitto, ma attraverso un lavoro più degno.
Non sembri un cammino troppo impegnativo, ha detto in conclusione mons. Delpini, perché sono le piccole cose che introducono un cambiamento e suggeriscono la possibilità di promuovere un nuovo umanesimo cristiano, proprio quello che papa Francesco ha messo al centro della sua enciclica più sociale, la “Laudato sii”.