Le RSU della Nokia di Vimercate hanno denunciato oggi nuovi licenziamenti:
“Dopo 3 anni dai licenziamenti di ottobre 2014, NOKIA LICENZIA ANCORA !!
Questa volta ad essere licenziati sono stati 64 lavoratori che erano in Cassa Integrazione da 1 anno .
Nokia ha licenziato senza rispettare la legge dei licenziamenti collettivi che prevede il rispetto di graduatorie che dipendono da : anzianità di servizio, carichi familiari, attività lavorativa.
Nokia invece ha licenziato tutti i lavoratori che erano in Cassa Integrazione”.
Qualche giorno fa, durante un’audizione in Commissione Attività Produttive, l’azienda aveva ridimensionato i numeri denunciati dai sindacati: i licenziati sarebbero stati al massimo una quindicina.
I numeri non tornano: i licenziati sono 64 o 15?
Credo che i sindacati calcolino nei 64 anche coloro che sono stati incentivati all’esodo e che abbiano “accettato” il licenziamento dietro il riconoscimento di almeno 18 mensilità di stipendio, oltre alla liquidazione.
Gli esuberi annunciati un anno fa erano 115; alcuni lavoratori sono stati ricollocati all’interno dell’azienda, altri sono stati incentivati all’esodo, ma per alcuni di loro non c’è stata che la via del licenziamento.
Un evidente problema sociale che fa ancora più specie se si pensa che Nokia ha ricevuto fondi pubblici per mantenere e accrescere la sua divisione Ricerca & Sviluppo a Vimercate.
La domanda è fin banale: un’azienda che ha ricevuto soldi pubblici può permettersi di licenziare?
L’azienda replica sostenendo che i fondi ottenuti grazie a un bando hanno consentito di mantenere la ricerca in Italia e di svilupparla con l’assunzione di una decina di giovani neolaureati. I tagli al personale, secondo i rappresentanti dell’azienda, non riguardano questa partita, ma la necessità di mantenere un equilibrio nei costi di produzione.
Nella “logica” di una multinazionale qualche decina di licenziamenti possono essere considerate come un inevitabile (anche se doloroso) effetto collaterale di un piano societario globale, per un territorio sono una ferita difficilmente sanabile e un dramma a cui non possiamo e non dobbiamo rassegnarci.