Europa, povertà e politica. Una giornata per riflettere

17 Ottobre 2017 di fabio pizzul

“Siamo chiamati, pertanto, a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi, abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine. La loro mano tesa verso di noi è anche un invito ad uscire dalle nostre certezze e comodità, e a riconoscere il valore che la povertà in sé stessa costituisce”.
Queste parole di papa Francesco, inserite nel messaggio per la I Giornata Mondiale dei poveri del prossimo 17 novembre, ben si sposano con l’odierna Giornata mondiale di rifiuto della miseria.
La giornata, come spiega oggi su Avvenire (qui il link all’articolo) Giorgio Calvaruso, nasce dall’appello di padre Joseph Wresinski, fondatore del Movimento Atd-Quarto Mondo, e viene celebrata ogni anno dal 1992.

Proprio ieri Eurostat ha fornito di dati sul rischio di povertà in Europa. Nel 2016 c’è stato un piccolo calo, con la percentuale delle persone a rischio che si è attestata al 23,4%. Dopo il picco del 25% raggiunto nel 2012, il dato attuale “è solo 0,1% al di sopra alla percentuale del 2009”.
Permangono ampie differenze tra i diversi stati membri: in Bulgaria, Romania e Grecia più di un terzo della popolazione è a rischio povertà (rispettivamente 40,4%, 38,8%, 35,6%), mentre nella Repubblica Ceca, in Finlandia, Danimarca e Paesi Bassi le percentuali scendono fino al 13,3% dei cechi e il 16,8% degli olandesi. L’Italia è sopra la media europea con il 28,7% di persone a rischio.
Tre i sottogruppi censiti da Eurostat, i lavoratori poveri, i soggetti in grave privazione materiale e la popolazione sotto occupata (che lavoro meno del 20% delle sue possibilità e necessità).
In Italia, nel 2016, sono peggiorati tutti e tre gli indicatori, con particolare riferimento a quello della grave privazione, la cui percentuale è passata dal 7,5 del 2008 all’11,5 del 2016.

In Italia, negli ultimi mesi, si è mosso qualcosa a livello istituzionale.
Dopo la sperimentazione del SIA (sostegno inclusione attiva), lo scorso mese di agosto, il Consiglio dei Ministri ha approvato di REI, reddito di inclusione, una misura si rivolge a una platea di 400 mila famiglie, pari a circa 1,8 milioni di persone. L’importo dell’aiuto va da un minimo di 190 euro fino a un massimo che è pari all’assegno sociale per gli over 65 senza reddito, 485 euro al mese. L’importo dipenderà dal numero dei componenti della famiglia e dalla situazione familiare e reddituale.

Nella proposta di Legge di Stabilità per il 2018, approvata ieri dallo stesso Consiglio dei Ministri, il REI viene potenziato di complessivi 300 milioni per il 2018, cifra che si aggiunge agli 1,7 miliardi già previsti a legislazione vigente. Il nuovo stanziamento permetterà di portare a quota 650.000 le famiglie raggiunte.
Ancora troppo poco per coprire l’intera popolazione a rischio povertà, ma si tratta comunque di un segnale importante dopo anni di parole e promesse.

Nel contrasto alla povertà sono, per fortuna, molto attive in Italia numerose realtà del volontariato e del privato sociale che si fanno carico di sostenere la vita di persone che rischiano di rimanere ai margini della società. Il loro impegno non può però sostituirsi a quello delle istituzioni che per troppi anni hanno scaricato su altri la necessità di gestire questa emergenza.

La giornata di oggi richiama tutti noi anche a una riflessione di carattere culturale: come intendiamo la povertà?
Siamo convinti che sia una colpa di chi la vive, perché non è stato in grado di giocarsi bene le sue carte?
La consideriamo un fastidio di cui debbono essere altri ad occuparsi?
Pensiamo sia un inevitabile effetto collaterale del nostro modello di sviluppo (che poi, ormai, sviluppo non crea più)?
Per chi crede nel povero c’è Cristo stesso.
Per chi vive l’impegno in politica la povertà dovrebbe essere uno degli assilli principali.
Ma, non a caso, ho usato il condizionale.

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