Mi ero ripromesso di osservare una pausa agostana nelle mie comunicazioni, ma la lettura del corsivo di Marco Cremonesi sul Corriere della Sera di oggi mi ha indotto una tentazione a cui non ho saputo/voluto resistere. Il tema è quello delle future elezioni regionali, delle possibili candidature e delle probabilità di vittoria.
Cremonesi accredita Maroni e il centrodestra di ampie possibilità di conferma. Ed è difficile dargli torto. Riguardo l’attuale maggioranza fa cenno però anche a possibili autogol che potrebbero essere causati da un’eccessiva sicurezza e da un’ormai cronica propensione a una forte litigiosità interna.
Sul fronte del centrosinistra, Cremonesi descrive una situazione in cui Giorgio Gori è il candidato in pectore, ma una piccola parte della possibile coalizione si ostina a chiedere primarie che faticherebbero però ad essere autentiche per la scarsa credibilità dei possibili contendenti. Cremonesi fa i nomi di due fuoriusciti dal PD, seppure in tempi diversi, Pippo Civati e Antonio Panzeri, senza però concedere loro grandi chances di contendere la nomination a Gori.
Fin qui non ho fatto che sintetizzare il Cremonesi pensiero.
Provo ora a dar sfogo alla tentazione di cui vi dicevo.
Si parla di credibilità. Ma chi può certificare una dote di questo tipo?
Se stiamo al significato del termine secondo la lingua italiana, credibilità è parola che indica la possibilità di essere creduti, ovvero la stima acquistata con una condotta irreprensibile.
Al netto delle vicende private e personali, dal punto di vista squisitamente politico può essere definito credibile l’attuale presidente della Lombardia Maroni?
Fatico a rispondere di sì.
Ha vinto le elezioni più di 4 anni fa promettendo di trattenere il 75% delle tasse in Lombardia, di creare una macroregione del Nord, di azzerare bollo auto e ticket sanitari. Quando ormai si avvicina la fine del suo mandato, non ha portato a casa una che una di queste promesse. Sarà anche colpa del Governo, come sostengono leghisti di vario conio, ma la realtà è che Maroni non ha mantenuto nulla di ciò che aveva detto.
Parliamo anche di autonomia. Maroni è anni che continua a proclamare di volerla al più presto, ma non ha fatto nulla per ottenerla, se non indire un referendum che ha il sapore di una grande trovata propagandistica. Sempre a proposito di credibilità, come si fa a credere a chi dice che con la vittoria del sì rimarranno in Lombardia 27 miliardi di euro all’anno e che la regione diventerà a statuto speciale, se il quesito sottoposto agli elettori parla di tutt’altro? Il massimo che Maroni (o chi per lui) potranno fare con la vittoria del sì al referendum sarà l’attivazione (con voto del Consiglio regionale) della procedura prevista dall’articolo 116 della Costituzione, ovvero l’inizio di una trattativa con il Governo per ottenere maggiori competenze e relative risorse finanziarie, procedura che richiede il voto del Parlamento a maggioranza assoluta degli aventi diritto (fosse facile…). Per fare quello che promette Maroni ci vorrebbe una riforma della Costituzione, ma alzi la mano chi intende rischiare la propria pelle politica su questo fronte, visti gli esiti di più o meno recenti avventure di questo genere.
Che Maroni possa essere credibile (e creduto) agli occhi dei Lombardia è quindi tutto da dimostrare. Anche se i sondaggi attuali lo danno per sicuro vincente. A quanto mi risulta, anche nel centrodestra non giurano sul fatto che sia lui il candidato alle prossime regionali.
Veniamo al centrosinistra.
Sapete bene che chi scrive è un sostenitore delle primarie. Rimango di questo avviso, ma sono convinto che primarie vere (le uniche che potrebbero davvero servire) non dipendano tanto dalla credibilità dei candidati, quanto dalla reale intenzione di renderle davvero contendibili.
Non mi arrischio ad alcuna considerazione riguardo la credibilità dei possibili candidati citati da Marco Cremonesi, anche perché le storie personali di Civati, Gori e Panzeri credo che raccontino di persone che, in ambiti e con modi diversi, hanno saputo essere protagonisti di vicende che li rendono degni di stima e, dunque, credibili agli occhi dell’opinione pubblica. Altro è sostenere che potrebbero vincere le elezioni regionali, ovvero la loro competitività come candidati presidenti. Ma su questo fronte le primarie hanno spesso riservato sorprese, basti ricordare quanto accaduto a Milano con Pisapia.
Spesso, anche sui media, si confondono (volutamente) termini che hanno significati completamente diversi e che vengono utilizzati con leggerezza come sinonimi: credibilità, competitività, notorietà, popolarità.
La credibilità non si costruisce a tavolino, ma si misura sulla coerenza e sulla capacità di reggere, nel medio lungo periodo, anche fuori dai riflettori, partite complicate e lavori spesso privi di grandi gratificazioni.
La competitività nasce dall’attitudine a giocare sfide complicate, creando le condizioni per non essere isolati: una singola partita la puoi vincere anche da solo, il campionato lo vinci solo assieme.
La notorietà è qualcosa di molto più effimero e non è sempre accompagnata da sentimenti positivi; un personaggio può essere molto noto, ma molto antipatico e suscitare per questo reazioni negative piuttosto che positive. E’ tutto da dimostrare, poi, che la notorietà si trasformi in consenso elettorale.
La popolarità è la capacità di mettersi in sintonia con le persone e di farsi percepire come vicino alle loro esigenze; un politico popolare non è un politico molto conosciuto, è un politico che viene percepito come vicino alle esigenze e dei suoi elettori.
Ebbene, il candidato ideale per le prossime regionali dovrebbe tentare di vestirsi di tutte queste caratteristiche e credo che il miglior modo per confezionare un abito di questo tipo, senza cadere in comici ma non utili effetti arlecchineschi, sia proprio quello di attuare un percorso di partecipazione che potrebbe passare attraverso le primarie. Faticose, certo, ma non inutili, almeno se costruite con l’idea di allargare la partecipazione ben al fuori dei confini di partiti che, anche con la coalizione più larga possibile, non riescono certo a intercettare le mutevoli e spesso silenziose sensibilità di una regione come la Lombardia.
Moltissimi lombardi, anche tra coloro che hanno votato centrodestra negli ultimi anni, mugugnano contro l’inconcludenza di Maroni: per convincerli a votare il candidato del centrosinistra non basta dir loro che la coalizione è ampia e che il candidato è forte, serve raccontar loro la Lombardia che vorremmo costruire assieme. Allora sì che saremo credibili, competitivi e popolari. Sulla notorietà, francamente, possiamo anche chiudere un occhio, perché quello che ci interessa è il futuro della Lombardia, non del suo presidente.
Basta. Ho scritto anche troppo.
Torno al mio silenzio agostano, senza essere troppo convinto di riuscire a mantenerlo.
P.S.
Tanto per essere chiaro: penso che Giorgio Gori sia un ottimo candidato e che farebbe molto bene anche a lui, se vuole vestirsi con l’abito vincente, fare il percorso delle primarie. Chi deve interrogarsi riguardo il fatto di volere o meno le primarie è il PD. L’assemblea regionale si è già espressa contro le primarie. Rispetto la decisione e non posso che adeguarmi alla stessa, ma rimane una domanda: se si verificherà la necessità/opportunità delle primarie (visto che il tempo c’è), saranno aperte davvero o per potervi partecipare bisogna non essere più del PD?
Fabio,
Candidati e fregatene.
Fondiamo un gruppo che ti sostiene.
Devi passare dalla cronaca alla competizione.
Il consenso ti verrà
Confermo quanto sopra scritto
Mi aggiungo ai commenti, tutte le riflessioni sono molto condivisibili