In tanti, in questi giorni, mi chiedono quale sarà il cammino verso le prossime elezioni regionali. Io rispondo che, per parte mia, sto impegnandomi affinchè il cammino sia condiviso e allargato, così da consentire al futuro candidato del centrosinistra di avere una solida base da cui partire con la sua o, per meglio dire, nostra campagna elettorale.
Tra le sollecitazioni ricevute, ce n’è una che potrei anche considerare una sorta di suggerimento per un intervento all’Assemblea regionale PD di venerdì prossimo. Ringraziando chi si è preso la briga di scrivere, sottopongo il testo anche alla vostra attenzione chiedendovi contributi per la riflessione di questi giorni. Poi, magari, il suggerimento potrebbe anche diventare intervento, chissà. Attendo vostri commenti.
Coraggio Lombardia
Luglio 2017Sono i lombardi i più coraggiosi. Negli ultimi mesi hanno saputo osare, divincolandosi da un quadro consolidato che avrebbe garantito loro rendite di posizioni ma ben pochi margini di manovra per scardinare e vincere una sfida che in molti credevano già persa. E invece, proprio quando gli equilibri nazionali sembravano più lontani dal clima generale del paese, il partito democratico ha saputo farsi capofila di una mobilitazione dal basso, costruita per le strade più che nei tavoli del potere. Le primarie, come mai prima d’ora, sono divenute occasione di leale e approfondito confronto tra visioni alternative e complementari che hanno rafforzato soprattutto il Partito Democratico, divenuto, con due candidati, perno di un movimento di centrosinistra rinnovato e libero di parlare di programmi e visioni più che di alleanze e correnti. La campagna elettorale contro Maroni, ha saputo così essere inclusiva, ritagliandosi una propria concreta autonomia rispetto ai tatticismi romani che la consideravano un’inutile spesa di energie. Che qualcosa stava cambiando, del resto, è stato evidente già con la raccolta firme per la partecipazione alle primarie, realizzata senza veti e in un clima leale e comunitario. Per questo i cinque anni che attendono la Lombardia a guida centrosinistra, non saranno una parentesi estemporanea ma l’avvio di un rigenerante modello di sviluppo che durerà a lungo. Le fondamenta per una Lombardia semplice – ovvero efficiente e senza inutile burocrazia –, concreta – ovvero solida e innovativa sul da farsi –, giusta – ovvero capace di generare pari opportunità e aiutare chi resta indietro – e felice – ovvero alleata e generosa, non arrabbiata contro tutto e tutti – sono solide e, c’è da augurarselo, influenzeranno l’intero paese.
Questo è lo scenario che credo sia possibile costruire per la Lombardia. Per questa ragione difendo le primarie come formula di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini da parte di una classe politica che non delega le proprie decisioni al tatticismo e a patti più disattesi che rispettati, ma che si affida al proprio popolo con coraggio e a viso aperto, anche quando perde.
Molte incognite ci attendono e Maroni, dicono in molti, è favorito, anche grazie al prevedibile affermarsi di un Referendum nei confronti del quale dimostriamo di avere più paura che visione. Proprio grazie a queste difficoltà di partenza, credo non dovrebbe mancarci la libertà di osare, di tentare un rilancio, di costruire un modello che non credo possa nascere altrettanto efficacemente negando le primarie a un territorio di 10 milioni di abitanti.
Comprendo i dubbi e le perplessità di molti, e non pretendo di essere necessariamente l’interprete più forte della squadra con la quale presentarci agli elettori, ma penso che siano le primarie lo strumento migliore per costruire un’alleanza di governo reale e vincente e penso di poter essere utile in tal senso.
La fretta con la quale gli esponenti di Partito più visibili per la carica che ricoprono amano schierarsi prima ancora dell’avvio in una contesa che dovrebbe essere libera, nel tentativo di dare la linea secondo logiche novecentesche, ha in passato portato a primarie competitive solo sulla carta, legittimando asti e contese tra i contendenti che, anche laddove efficace strumento di rinnovamento, hanno rovinato un clima che dovrebbe essere competitivo secondo l’etimologia del termine cum petere, cercare assieme. Il tempo, quello che costruisce processi e partecipazione, è superiore allo spazio, quello che occupa e prevarica per paura di perdere la propria identità o le proprie rendite di posizione. Forse anche per questo è più facile vincere quando si esce dalle primarie rispetto a quando si chiede la riconferma dopo un mandato condotto anche degnamente, come testimoniano le sconfitte recenti in molti comuni.
Laddove vince la paura delle primarie in una comunità che le ha nel proprio DNA, come in taluni casi è capitato anche quando si sono alla fine organizzate, la paura di perdere ha già trovato casa presso quella comunità, a partire da chi la guida. E guidare nella tempesta una nave senza ciurma non è la miglior premessa nemmeno per il più generoso dei capitani.
Sono d’accordo, in linea di principio, con lo strumento delle primarie, il problema sta nel come, chi si candida, interpreta questa opportunità democratica. Può diventare un vero bumerang per il partito se utilizzato da chi lo coglie come occasione per accanirsi contro quello che viene visto come un nemico da battere, senza riserve.