Da giorni i media e, soprattutto, gli investigatori stanno tentando di ricostruire gli spostamenti e i contatti di Anis Amri, il tunisino che ha ucciso 12 persone a Berlino gettandosi con un camion contro un mercatino natalizio. La sua uccisione, a Sesto San Giovanni, è stata salutata come una liberazione, una vittoria, una sorta di trionfo della giustizia. Ma il rischio, come mi segnalava un’amica in un messaggio dei giorni scorsi, è che stiamo scivolando lungo un crinale che non solo giustifica, ma presuppone la violenza come unica possibile risposta al male. Possiamo rassegnarci a questo?
Va subito precisato come i due poliziotti che sono intervenuti nella notte di Sesto San Giovanni sono stati irreprensibili e hanno compiuto fino in fondo il loro dovere, difendendosi da un attacco che intendeva colpirli ed eliminarli. Sono del tutto fuori luogo, quindi, le accuse di cui sono stati fatti oggetto da esponenti politici locali. I due agenti sono stati vittime di un’aggressione prima ancora che protagonisti di una brillante operazione antiterrorismo. La loro professionalità e una buona dose di fortuna ha evitato che dovessimo piangere ulteriori vittime innocenti della follia omicida.
Credo però importante riaffermare come la morte di un uomo sia sempre una sconfitta per l’umanità: la giustizia non presuppone la morte di colui che ha compiuto un delitto, ma la possibilità di andare oltre il male compiuto attraverso la riparazione del danno causato e la promozione di un bene che superi il male. Almeno questa è la visione cristiana che è stata posta a fondamento della civiltà occidentale.
Le ostentate esecuzioni del cosiddetto esercito islamico intendono minare alla radice questa convinzione e trascinare tutti noi in un abisso in cui la morte può costituire una sorta di realizzazione di un ideale di giustizia. Una follia per la nostra cultura occidentale e per la concezione cristiana della vita.
Proprio su questa follia si basa la strategia del terrore che si fa forte di un’evidente e drammatica asimmetria: chi non ha paura della morte e, anzi, quasi la cerca in nome del martirio, semina il panico tra coloro che guardano alla morte come alla negazione del più alto dei valori, quello della vita.
Non possiamo allora esultare per la morte anche del nostro più acerrimo nemico se non vogliamo darla vinta ai falsi profeti del terrore.
Il sollievo per aver evitato altri possibili folli attentati da parte di Anis Amri è più che naturale e comprensibile, l’esultanza per la sua morte, quasi si tratti di una sorta di riscatto per le vittime di Berlino e per i loro familiari, non appartiene alla nostra cultura. Almeno a quella che ci ostiniamo a definire cristiana e che abbiamo celebrato una volta ancora a Natale.
Non dobbiamo rallegrarci per una morte. Non dobbiamo neanche piombare nell’inazione.
Porgere l’altra guancia a chi ti offende non è lo stesso che porgerla a chi ti spara