La cultura é occasione di dialogo, confronto, apertura. Non sempre la maggioranza che regge da anni la Lombardia si é dimostrata sensibile a questi orizzonti, per questo eravamo partiti con molti dubbi sulla legge di riordino della cultura lombarda proposta dalla giunta. Ora riconosciamo il dialogo che c’è stato in queste settimane di discussione. Ma non possiamo certo dirci soddisfatti.
La legge è senz’altro utile, perché unifica almeno una decina di altre norme che prima erano scorporate, ma immaginavamo più elementi di innovazione. Per questo il nostro voto oggi in commissione è stato di astensione. Tuttavia, riconosciamo che la riunificazione delle varie leggi è un buon punto di partenza per chi opera nel settore culturale e, in futuro, per chi avrà il compito di fare delle vere e proprie politiche culturali, magari quando la maggioranza regionale sarà finalmente di diverso colore.
Uno dei punti più discussi è stato quello che la maggioranza intendeva relativo alla ‘lingua lombarda’, definizione contestata da noi del Pd e da tutta l’opposizione in quanto non corrispondente, dal punto di vista scientifico, al complesso dei dialetti che compongono la parlata regionale.
Da parte mia sottolineo la necessità di fugare ogni dubbio sull’eventuale forzatura per un uso istituzionale del dialetto lombardo nell’ottica di introduzione a livello di istituzioni o di insegnamento nelle scuole. L’importante è che la legge non diventi una scusa per spingersi verso forzate ipotesi di ‘lingua’ costruita artificiosamente e strumentalmente, quasi a voler passare sopra la storia e l’utilizzo effettivo dei singoli dialetti lombardi, i quali, invece, vanno valorizzati nelle loro peculiarità e sui territori.
La legge per le politiche nasce comunque zoppa: servirebbero molte più risorse di quelle previste. Sappiamo che sono tempi duri per tutti i settori, ma la Giunta Maroni poteva, politicamente, scegliere diversamente ed essere più coraggiosa.