Continua il dibattito sull’identità e il senso di Expo 2015.
Dopo che don Virginio Colmegna aveva richiamato la necessità di una maggiore attenzione ai contenuti per non trasformare l’esposizione universale in una sorta di Gardaland, sulle pagine del “Corriere della Sera” arriva la replica del commissario unico Beppe Sala:
“Expo deve principalmente raggiungere due obiettivi: il primo è educare – ha sottolineato Sala – e il secondo è far divertire. I bambini per noi sono molto importanti e la mia personale soddisfazione è alla sera quando mi metto vicino all’uscita e vedo passare i bambini contenti. Expo è un luogo ideale per i bambini, è possibile sperimentare il tema Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita nei modi più diversi e coinvolgenti”.
Mi è arrivato anche un commento del collega giornalista Giorgio Bernardelli, collaboratore di “Mondo e Missione” e animatore di www.vinonuovo.it, riguardo il significato della Carta di Milano, le sue potenzialità e i suoi limiti.
Ve lo propongo, perchè mi pare metta a fuoco uno dei punti centrali della possibile eredità di Expo.
È vero Fabio, il format dell’Expo è quello (anche se – a dire il vero – l’errore strategico di collocare i dibattiti dentro il sito Expo e non in città in molti lo avevamo segnalato: non ci voleva molto a immaginare che lì si sarebbero trasformati in seminari a invito…).
Però c’è un punto su cui il percorso di approfondimento intorno a Expo2015 sta facendo acqua ed è proprio la Carta di Milano. Se l’Expo è di per sé una manifestazione pop, non stava scritto da nessuna parte che dovesse esserlo anche la Carta di Milano. Si poteva puntare a un documento che chiedesse ai governi di impegnarsi in maniera misurabile su alcune cose. Invece si è scelta un’altra strada: una dichiarazione generica, con obiettivi e impegni non misurabili, con tante affermazioni di buon senso condivisibili da tutti ma che sono auspici non azioni. Così l’obiettivo diventa molto banale: avere un numero molto alto di capi di Stato e di singoli visitatori dell’Expo (la fanno firmare pure ai bambini…) da sbandierare a fine manifestazione. Niente di male, per carità. Ma non andiamo in giro a dire che con questa cosa abbiamo fatto un passo avanti sulla coscienza delle sfide che lotta alla fame comporta. Quando chiedi tutto a tutti, alla fine non chiedi nulla (di scomodo) a nessuno.
In particolare – come andiamo ripetendo con alcuni amici ormai da un mese – dalla Carta di Milano è stato volutamente tolto ogni riferimento al tema del rapporto tra cibo e finanza. Checché ne dica Martina, una presa di posizione chiara su land grabbing e regolamentazione dei titoli finanziari derivati sulle materie prime agricole nella Carta di Milano non c’è, probabilmente per paura che qualche governo poi non firmasse.
Questo è un fatto molto grave che – con tante altre realtà che operano per la lotta alla fame, con economisti come Zamagni, Becchetti e Moro, ma anche con realtà vicine al mondo delle aziende alimentari – stiamo denunciando. Abbiamo lanciato anche un petizione in proposito che si può firmare su Change a questo link
petizione on line
La Carta di Milano è un atto politico; e se si sceglie un approccio debole sui temi più spinosi è una scelta politica. Il format di Expo lì non c’entra proprio nulla.
Cambiando argomento, vale la pena di ricordare che domani, festa della Lombardia, dovrebbe essere un giorno speciale per la presenza della regione a Expo, se non altro perchè riaprirà i battenti, dopo un rapido restiling, il padiglione denominato “Pianeta Lombardia”. Ho in programma di fare una capatina ad Expo per verificare il nuovo allestimento e partecipare alla festa. Vi farò sapere.