Oggi ho partecipato a Cascina Triulza a un convegno, organizzato dalla Casa della Carità, dedicato al rapporto delle tre grandi religioni monoteiste con il cibo.
Tema e interventi molto interessanti, partecipazione a dir poco ridotta, anche per i problemi che ho già avuto modo di sottolineare nel post del Diario di ieri.
L’incontro ha preso spunto dal volume “Buono e giusto – Il cibo secondo ebraismo, cristianesimo e islam”, recentemente pubblicato dalle edizioni di Terra Santa e ha visto la partecipazione di Paolo Branca, docente di lingua e letteratura araba, di Claudia Milani, docente di ebraismo, entrambi autori di parti del volume, e della pastora valdese Lidia Maggi.
Vi riporto qui di seguito qualche appunto che ho preso durante la mattinata.
Mi paiono spunti interessanti per riflettere sul fecondo e spesso trascurato rapporto tra fede e cibo.
Claudia Milani
Il cibo é dono di Dio.
Se mangio una schifezza, secondo l’ebraismo, faccio male al mio spirito.
Originariamente nella Bibbia l’uomo è vegetariano, dopo il Diluvio Dio concede a Noè di mangiare la carne, ma senza usare violenza agli animali (non mangiare sangue – kosher).
Manna = cibo che è totalmente donato, ma solo per oggi (no all’accumulo, sì alla fiducia e all’affidamento).
Nel Talmud si dice che Dio chiederá conto del rispetto dei precetti, ma anche delle gioie ottenute grazie all’aver mangiato cibo buono.
Lidia Maggi
Se togliete la tavola dal Vangelo, dovete eliminare buona parte del Vangelo: la tavola è una sorta di tempio nel quale Gesù insegna il gusto della vita e fornisce immagini del Regno Eucaristia è gesto strappato all’ordinarietà per essere dislocato in un contesto sacro. C’è stato una sorta di scisma tra tradizione cristiana e cibo. In questo modo il cristianesimo tenta di diversificarsi da due tradizioni ingombranti, i sacrifici e i banchetti pagani e le norme alimentari ebraiche.
Nel cristianesimo viene mantenuta la dimensione temporale del cibo, ma non quella spaziale. La convivialitá del cibo era affidata alla quotidianitá laica, ma oggi sta scomparendo anche questa. Il rapporto con il cibo è sempre più individualista e il cibo diventa idolo (surrogato religioso).
Il buono e il giusto oggi sono sempre più scollegati dal cibo che è oggetto di un uso competitivo e di un’abbondanza che abbandona la sobrietá e il valore della mancanza, tipico della tradizione biblica.
Vengono sempre più meno il rapporto etico con chi non ha cibo e la convivialitá.
È importante ristabilire un rapporto religioso con il cibo e il discernimento su di esso.
Il rapporto con il divino passa attraverso la gioia della convivialitá.
Il criterio più alto per stabilire la propria comunione con Dio è la capacitá di condividere il cibo e di accogliere.
E’ necessario liberare l’eucaristia perchè torni nelle piazze e nelle case.
Paolo Branca
Tutto ciò che l’islam dice del cibo deve essere considerato nell’ottica del luogo in cui sono nati 1400 anni fa questi precetti: il deserto e le tribù nomadi beduine. Le regole, anche quelle sui luoghi e sul cibo, sono funzionali a far sì le diverse tribù non si distruggano a vicenda esaurendo risorse in un territorio molto povero.
Non bisogna dare mai per scontato che le cose buone che ci arrivano siano prive di una intenzionalitá generosa di Dio.
Il cibo deve essere condiviso ed è sempre sufficiente per chi lo condivide.
Il vino nell’Islam è simbolo dell’estasi e della gioia, ma viene storicamente proibito per ragioni pratiche legate soprattutto alla tradizione beduina.
Sono solo alcuni spunti che, chi ha interesse o ne è rimasto anche solo incuriosito, può approfondire con la lettura del libro citato.
Un incontro che è passato inosservato alle decine di migliaia di persone (questa mattina soprattutto scolaresche) che affollavano i padiglioni, ma che mi pare abbia contribuito a mettere a fuoco il tema di Expo, soprattutto nell’ottica del recupero di un rapporto corretto con il cibo, della sua condivisione e del suo significato per la vita degli uomini.