Questa mattina, con una breve cerimonia, il Consiglio regionale della Lombardia ha inaugurato ufficialmente le commemorazioni del Primo Conflitto Mondiale. Dopo l’inno nazionale (che ha visto la solita sceneggiata leghista dell’abbandono dell’aula) hanno preso la parola il presidente del Consiglio Cattaneo e l’assessore alla cultura Cappellini.
“Il primo conflitto mondiale – ha ricordato il Presidente del Consiglio regionale, Raffaele Cattaneo – costò al nostro Paese 600mila vittime, di cui oltre 80mila lombardi morti, dispersi o scomparsi. Oggi, dunque, vogliamo fare memoria del dolore delle vittime e aprire una riflessione comune sul significato dell’evento, ricordando che la sorte della comunità cui si appartiene è responsabilità di ognuno. Il monito e l’impegno dell’istituzione è quindi ribadire mai più la guerra, come stabilito dall’articolo 11 della Costituzione”.
L’intervento più significativo e intenso è stato proposto dal delegato dell’Associazione Nazionale Alpini Gianluca Marchesi, ve lo propongo perchè fa riflettere su quello che è stata la Prima Guerra Mondiale e sul modo con cui ricordarla oggi, a distanza di 100 anni.
Signor Presidente, signori consiglieri,
La prima guerra mondiale è uno snodo fondamentale nella vita di milioni di uomini e si presentò alla loro attenzione con tutta la sua terribile forza distruttiva.
Ma certo è che anche i più tragici e grandiosi eventi si perdono nella memoria: i lutti si dimenticano, l’erba ricresce sulle trincee e sulle tombe; Ciò che resta, però, è l’esperienza umana del dolore e del dovere, la profonda capacità di dare e di resistere, una lezione sommessa ed altissima di piccoli uomini sconosciuti, più veri e più Grandi dei Grandi.
Così come anche l’esperienza umana del dolore del dovere, tuttavia, per non andar perduta ha bisogno che nella coscienza collettiva della nostra società vi sia la consapevolezza che i fatti che caratterizzarono quel periodo furono reali e passarono sulla pelle di centinaia di migliaia di ragazzi, di uomini e di donne.
Signori consiglieri, il mondo che ci si presenta oggi è incredibilmente lontano dal modo di vivere che c’era allora. La Grande Guerra è stata sopportata dai giovani di allora perché erano abituati ad una vita quotidiana di sacrificio. Per loro la vita era dura. Un mondo assolutamente incomprensibile per le generazioni attuali, cresciute in un periodo di pace e di benessere. Anche per questo, dunque, quel poco che i nostri ragazzi studiano sui libri di storia sembra loro più una leggenda epica che non una tragica realtà.
Se noi vogliamo che il ricordo della Grande Guerra possa avere un effetto pedagogico, con un ritorno per la collettività, se noi vogliamo che la storia insegni davvero, dobbiamo tutti insieme operare affinché le nuove generazioni capiscano che quelli erano esseri umani…..veri. Che erano padre, madre, fratello, sorella, zii, morose, mogli e che la loro perdita non è la morte di Ettore… Non è quel mondo mitologico dove la nostra contemporaneità rischia di relegare quelle vicende “lontane”.
È una tragedia. Ma una tragedia vera!
Per prima cosa, dunque, dobbiamo restituire, nel ricordo, umanità ai personaggi di allora. Dobbiamo dare un senso a quel sacrificio…che non può essere solo la conquista di Trento e Trieste….oppure “Gorizia tu sei maledetta”…non può essere solo quello! Dobbiamo far capire che l’unico modo di dare un senso a quell’immane sacrificio consiste nel comprendere, perpetuare ed attuare il sogno, le disperate aspettative di quei ragazzi che andarono al fronte quanto meno con la speranza di fare dell’Italia un posto migliore, dove crescere i loro figli.
Per fare questo bisogna che si comprenda che quella guerra è stata combattuta da ragazzi che avevano l’età di molti dei nostri figli. Bisogna comprendere che quei ragazzi di allora si sono assunti la responsabilità di fare il soldato davvero e capire perché l’hanno fatto, perché hanno resistito in condizioni tanto assurde.
E allora qual è il senso? Perché cum-memorare, ricordare insieme?
Perché la guerra va ricordata per l’orrore che è, ne va ricordato il dolore. Perché oggi sono oltre 70 anni che grazie a Dio non siamo in guerra e malgrado ciò si comincia a ritenere la guerra un’opzione possibile. Nella società attuale è scemato il ricordo del dolore, della sofferenza. Già nella mia generazione è sbiadito, anche se comunque c’erano i nostri nonni che la guerra l’avevano fatta e ce lo ricordavano. E noi li abbiamo sentiti parlare, noi li abbiamo visti …non riuscire a raccontare, i noster vecc!
Noi Alpini, grazie all’insegnamento dei nostri veci, vorremmo riuscire a comunicare che della guerra non se ne può parlare con leggerezza. Così come il termine pace non può essere usato con superficialità perché è un valore importantissimo e sacro, un valore assoluto che non può prescindere dalla libertà che a sua volta è un dono preziosissimo che deve essere curato e monitorato costantemente perché non è affatto scontato.
Da questo Centenario, insomma, ci aspettiamo una riscoperta di quella esperienza umana di dolore e di sacrificio, in un’ ottica di riconoscenza e di nuova consapevolezza di cittadinanza, che serva a questo nostra magnifica comunità per una rapida ed efficace ripartenza.
Noi alpini, come del resto voi tutti, amiamo la nostra Italia senza se e senza ma e la vogliamo bella, efficiente, giusta e possibilmente rispettata.
È necessario e ci aspettiamo che la politica dia un segnale forte in questo senso ma è necessario, soprattutto, che si operi affinché gli italiani ci credano e arricchiti dalla riscoperta di quella esperienza umana agiscano concretamente per il bene comune. Come gli alpini!
Sono commossa dal discorso dell’Alpino Gianluca Marchesi.
Mio Padre era Alpino di complemento. Non fece la I^ guerra perchè troppo giovane e fece la naja a Tolmino dove fu promosso tenente. Richiamato nel 1940 a Merano, ne uscì capitano. Conserviamo ancora la sua sciabola ( appartenuta ad una Medaglia d’argento) e il suo cappello ( senza la penna nera perchè volle metterla nella bara della Mamma quando questa morì). Presentatosi a Civitavecchia con destinazione alla guerra in Russia, quando disse:” Sono pronto al dovere, ma chiedo soltanto chi provvederà ai miei sette figli e alla loro Mamma se io non dovessi tornare”, fu rimandato a casa e salvato così ai suoi sette figli e alla loro Mamma dall’orrore della guerra di cui tanti erano stati vittime nella Prima e lo furono nella Seconda. I suoi sette figli hanno imparato da Lui e dalla Mamma una meravigliosa lezione di vita, fatta di serietà e di impegno nell’adempiere al dovere, di sobrietà, di generosità, di volontà di apprendere per diventare migliori per sè e per il prossimo, ma anche di saper cogliere il senso e la bellezza del vivere nel segno dei più alti e puri valori. Viva l’Italia, Viva gli Alpini, Viva l’Europa e il Mondo nella Pace e nella Fratellanza!
da Maria Pia Roggero e i suoi fratelli e sorelle. Milano, 26 ottobre 2014
La guerra, qualsiasi guerra rimane la più inutile, spaventosa, stupida delle azioni tragiche che la comunità umana può commettere. Le parole di Gianluca Marchesi sono alte e condivizibili. Vorrei però ricordare che anche oggi siamo in guerra, le mille guerre, guerriglie, lotte tribali che si svolgono lontano da noi, ma che producono lo stesso dolore, spesso senza produrre effetti positivi come la conquista di una nuova consapevolezza di dignità umana, di cittadinanza, almeno di miglioramento nelle ocndizioni di vita di chi è povero e fragile. L’ha denunciato anche di recente papa Francesco. Penso che commemorare i cent’anni dalla prima grande guerra sia anche fare tutto il nostro possibile, il nostro piccolo possibile per evitare ogni forma di guerra, grande o piccola che sia. A cominciare dalle “piccole guerre” che si combattono anche nei nostri ambienti e che costituiscono i prodromi delle guerre considerate “vere guerre”. Può sembrare quasi paradossale e minimalista invocare quindi la preghiera, anche la preghiera “laica” che si rivolge soltanto all’intelligenza e al buon senso umano, per scongiurare tragedie immani, inutili, devastanti come le guerre. Soprattutto inutili: nessuna guerra ha mai (e la storia èmaestra) risolto veramente alcun problema.