Sulle riforme istituzionali siamo a un momento di svolta importante. E’ un’opportunità da cogliere anche per le regioni, Lombardia su tutte. La sensazione è invece quella di vedere enti un po’ ripiegati su se stessi, quasi rassegnati al ruolo di imputati in un processo che, in realtà, nessuno ha mai dichiarato aperto. Se non i media. Il problema è che atteggiamenti e iniziative scomposte e inopportune rischiano davvero di gettare ombra sul regionalismo e il cammino fatto in questi anni in termini di autonomia e decentramento.
Più che recriminare e lanciare strali contro i nemici centralizzatori e il loro presunto capo Renzi, chi ha a cuore il regionalismo dovrebbe cogliere l’occasione per rilanciarlo come chiave, forse l’unica, per modernizzare davvero uno sistema statale ormai prossimo all’infarto. E allora modifica del Senato, revisione del Titolo V della Costituzione e riorganizzazione della governante degli enti locali sono punti fondamentali su cui è tempo di intervenire.
E’ un bene che il consiglio regionale, al netto delle spaccature emerse nella maggioranza sull’idea della Lombardia a Statuto speciale, abbia approvato un documento unitario con osservazioni e proposte puntuali sul disegno di legge costituzionale (qui il testo approvato e gli allegati). E’ però fondamentale che nessuno giochi su due tavoli con l’idea di portare avanti un mal sopportato atteggiamento istituzionale all’insegna del “tanto non serve a nulla” e una più spregiudicata battaglia solo lombarda per catturare consenso e voti. Sono convinto che il ruolo e il futuro dell’istituzione siano più importanti della ricerca di una visibilità e di provocazioni legittime, ma parziali e inconcludenti.
Che credibilità può avere nel formulare pareri e richieste di modifica chi gioca con le istituzioni facendone merce da vendere sul banco del consenso e dei voti?
Come si può pretendere di difendere il regionalismo passando con disinvoltura da secessione a macroregione?
A forza di spararle grosse non si è più credibili, al punto che sospetto che chiunque fosse oggi presidente al posto di Maroni (a maggior ragione Ambrosoli) avrebbe maggiore possibilità di successo nel presentarsi al tavolo con le altre regioni e con il governo per far valere le ragioni del regionalismo. Anche perché chi pensa di poter trattare con il premier Renzi a forza di provocazioni e prove di forza, forse non ha capito che la sua determinazione è almeno pari alla capacità di tenere botta e rispondere al di fuori delle vecchie logiche di accomodamento e mediazioni al ribasso.
Il Nuovo Centro Destra, a onor del vero, nella seduta di giovedì ha espresso con grande veemenza la propria contrarietà al doppio ordine del giorno sullo statuto autonomo della Lombardia. Salvo poi, dopo l’interruzione della seduta per la mancanza del numero legale, votare tranquillamente, con grande disinvoltura, con il resto della maggioranza solo la mattina dopo.
Su una questione delicata e vitale per l’istituzione regionale come l’ormai prossima riforma costituzionale si è consumato dunque l’ennesimo capitolo di un braccio di ferro tutto interno alla maggioranza. E’ dovuto intervenire Maroni in persona che, assicurando di presidiare con più attenzione le dinamiche interne e i rapporti con i diversi gruppi politici che lo sostengono, ha confermato con chiarezza tutti i problemi che affliggono la sua maggioranza.
Basterà una nuova poltrona in Giunta per NCD a fare rientrare tensioni e differenze?
Mi permetto di dubitarne.
L’unica cosa certa è che siamo di fronte a una gestione propagandistica e irresponsabile del delicato passaggio sulla riforma costituzionale: l’approvazione dei due ordini del giorno su un velleitario statuto speciale per la Lombardia ha come unica conseguenza l’indebolimento delle proposte unitarie che il consiglio aveva votato solo poche ore prima.
La Lombardia e le riforme: un passo avanti e due indietro
17 Aprile 2014 di fabio pizzul
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