Un anno fa il cardinal Martini ci ha lasciati.
In questi giorni si moltiplicano le iniziative in sua memoria, segno della traccia indelebile che il suo magistero è riuscito a lasciare.
Non è facile individuare quale possa essere il modo più adeguato per raccogliere e rendere attuale la sua eredità. Non ho la presunzione di poter offrire indicazioni precise in tal senso. Provo però a condividere alcuni aspetti che penso possano essere in sintonia con quanto chi ha indicato durante gli anni della sua presenza a Milano e quello, non meno fecondi, del suo ritiro, prima a Gerusalemme, poi a Gallarate.
Il rispetto per la Parola.
Un rispetto che nasce dall’ascolto, procede attraverso la disponibilità a lasciarsi interpellare nel profondo e sfocia nella libera messa in discussione del proprio atteggiamento di fronte agli altri e a Dio.
Il coraggio dello stare in mezzo.
Anche nelle situazioni più difficili al credente non è chiesto di ostentare certezze, ma di mantenere aperta la relazione e il dialogo. Stare in mezzo non significa portare soluzioni (magari ideologicamente formate), ma “farsi prossimo”, stare vicini, intercedere, anche con la forza debole della preghiera e dell’affidamento.
La tenerezza dell’incarnazione.
In tempi virtuali e violenti di consumo immediato e definitivo è bello pensare a poter recuperare l’attenzione agli altri a partire dalla concretezza di gesti che ci mettono in discussione, dalla disponibilità di mostrarci fragili e bisognosi di aiuto e dalla custodia del mistero che ci è stato affidato, nella creazione e nella relazione. Secondo lo stile che fu e che è di Gesù.
L’eredità del cardinal Martini
30 Agosto 2013 di fabio pizzul
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