Durante la direzione provinciale del PD milanese, Stefano Draghi, docente di Tecnica della ricerca sociale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano ha proposto alcune analisi sui numeri del voto nazionale e regionale.
Mi pare contengano delle indicazioni interessanti che provo a riassumervi. Aggiungendo qualche mia considerazione qua e là.
L’alleanza con SeL ha configurato un PD collocato secondo lo schema “niente nemici a sinistra”, un’idea che era funzionale alla situazione del novembre 2012, prima che Monti salisse in politica e che Berlusconi scatenasse la sua offensiva mediatica.
Con l’ingresso di Monti lo scenario è cambiato e ha in qualche modo scompaginato lo schema previsto, senza che però il PD abbia cambiato la propria strategia (e forse era anche difficile farlo).
I flussi elettorali, secondo Draghi, non bocciano la scelta fatta: la coperta è rimasta corta, ma non ci sono stati particolari segnali di emorragia verso il centro e, tantomeno, verso sinistra. I dati dicono come, a livello nazionale, siano usciti poco più di 300mila voti verso sinistra e poco più di 400mila verso il centro. La vera emorragia è stata quella verso il Movimento 5 Stelle, con più di 2,4 milioni di voti che sarebbero passati a Grillo.
La considerazione di Draghi è che sia stato sottovalutato l’astio contro la politica che è molto cresciuto negli ultimi mesi. Reagire a questa delegittimazione della politica è però operazione che richiede tempi lunghi e che non può essere affidata a una, tra l’altro, breve campagna elettorale.
Grillo, nel suo “Tsunami tour” e in tutta la sua comunicazione, non ha puntato solo sulla corruzione del sistema partitico, ma sull’incapacitá della classe politica.
In una situazione del genere, non è scattato l’effetto Pisapia. Il sindaco di Milano ha vinto recuperando molto astensionismo, ma non ha di fatto non spostato voti da uno schieramento all’altro. A livello nazionale, l’astensionismo è stato recuperato dal 5 Stelle più che dagli altri partiti.
Draghi ha poi offerto qualche breve considerazione sul ruolo e il possibile futuro dei partiti, sostenendo che, finchè saranno sostenuti dal meccanismo del finanziamento pubblico, saranno comunque equiparati dall’opinione pubblica a una sorta burocrazia di secondo grado, incapace di selezionare persone nuove competenti e capaci di portare innovazione e professionalitá provenienti dall’esterno della cosiddetta casta. L’antipolitica ha così buon gioco nel rappresentare l’intero sistema partitico come impermeabile, autoreferenziale e, per di più, incompetente e dannoso.
Ci sono però stati anche dei segnali in controtendenza, come quello offerto dal Pd che a Milano, nelle elezioni comunali che hanno portato all’elezione di Pisapia, ha guadagnato 6 punti percentuali rispetto alle precedenti consultazioni. Il fatto, nell’interpretazione di Draghi, si spiegherebbe con il fatto che il PD, pur avendo perso le primarie, ha dato l’idea di volersi e potersi allargare a personalitá di alto livello professionale o morale (vedi Boeri e Onida) e questo ha premiato nella considerazione dell’opinione pubblica e ha spezzato l’immagine di chiusura e autoreferenzialità.
A livello nazionale, al contrario. il Pd continua a proporsi con orgoglio partitico, continuanzo ad affermare di essere ormai l’unico vero partito rimasto. Questo orgoglio rischia però di andare a sbattere con l’astio anti-partitico che ha portato consensi crescenti al movimento di Grillo.
Draghi ha poi sottolineato, tornando ai numeri, come, per vincere al Senato, sarebbero serviti 1,3 milioni i voti, un’impresa che sarebbe stata difficile, se non impossibile anche per Renzi candidato premier, anche se la sua immagine e la sua forza comunicativa avrebbe sicuramente consentito di condurre una campagna elettorale più efficace o, semplicemente, degna di questo nome.
Quanto alle regionali lombarde, Draghi ha fatto notare come si sia fatta la scelta di un candidato come Ambrosoli, forte di una grande reputazione personale, ma molto poco noto agli elettori rispetto a Maroni, noto a tutti per i suoi trascorsi nazionali. I deficit di notorietà, secondo il professore della Statale, si è pagato soprattutto nei piccoli centri, dove non si è arrivati con la campagna elettorale e dove Maroni ha vinto le elezioni. I pochi soldi a disposizione e i tempi stretti della campagna elettorale hanno fatto il resto. Draghi ha chiuso il suo intervento affermando che con un paio di mesi in più a disposizione, l’esito dell’avventura di Ambrosoli avrebbe potuto essere molto diverso. Mi permetto però di aggiungere una domanda: perché allora dal 15 dicembre (giorno delle primarie civiche) si è atteso fino all’11 gennaio per lanciare la campagna elettorale di Ambrosoli?
Agli elettori lombardi che hanno preferito maroni per perpetuare il sistema affaristico formigoniano ad ambrosoli posso solo dire che hanno perso una grande occasione per ripulire il governo della regione.
Una delle analisi più interessanti tra quelle viste in questi deprimenti giorni. L’analisi del problema è il primo dato per riprendersi. Se posso…aggiungo che la discesa in campo di Monti ha sconvolto il bipolarismo, togliendo numeri a Bersani, soprattutto, e stendendo un tappeto rosso ai grillini. E poi: Ambrosoli qui forse non era il nome più giusto, nè il più noto. Ma Bersani è noto…e bravo. Dunque?
Ho ascoltato anch’io Draghi in un incontro a Bresso. A quanto da te riportato ha aggiunto che Bersani non può permettersi di abolire il finanziamento pubblico perché serve a mantenere in piedi le correnti: non il partito, le correnti!
Ti informo anche che ho inviato un commento alla nota sul finanziamento pubblicata sul sito nazionale del PD (dove si dice che “il tema è ben presente negli 8 punti”). Il commento diceva che non basta che il tema sia presente, occorre dire che lo si vuole abolire: mentre si dice che “si è pronti a rivedere, a condizione che…” cioè si mena il can per l’aia.
Non solo il commento non è stato pubblicato, ma è stato rimosso anche l’invito a postare dei commenti! Questo sarebbe il partito “democratico”!
Se questa casta non la rottama Renzi, la rottamerà Grillo.