Che cosa ci dice Macao?

15 Maggio 2012 di fabio pizzul

Questa mattina a Milano é stato sgomberato Macao.

Detto altrimenti, é stato restituito al legittimo proprietario uno stabile, la Torre Galfa, che sabato scorso era stato occupato da un gruppo di “giovani” che si autodefiniscono “lavoratori dell’arte” e che hanno già dato vita ed esperienze simili in altre città d’Italia.

Al di là del metodo scelto, evidentemente al di fuori della legalità, dall’esperienza di Macao arrivano anche alcune provocazioni e alcune domande interessanti.

Il fatto che qualche centinaio di giovani continui a occupare via Galvani (e a quanto pare lo farà fino almeno a stanotte) deve far riflettere sulla domanda di spazi e di possibilità di espressione che ne emerge.

Ho voluto verificare di persona che cosa stesse accadendo e, aggirandomi davanti al distributore all’angolo con Melchiorre Gioia (chi ripagherà il povero benzinaio che oggi avrà lavorato ben poco?) mi sono subito reso conto che non ero di fronte alla “solita” iniziativa dei centri sociali. Chi ha scelto di passare qualche ora prima nella Torre Galfa, poi in via Galvani non cerca lavoro, ma spazi e opportunità. Accanto a giovani artisti di varie discipline ci sono ricercatori e docenti universitari che sostengono la richiesta di spazi e tempi per poter esprimere e condividere la propria creatività e la propria voglia di sperimentare nuovi linguaggi espressivi.

Ci sono sedi appropriate, potrà obiettare qualcuno, ma la necessità di interrogarsi sul perché ci sia questa gran voglia di condividere e di raccontarsi agli altri é sicuramente presente. Il rischio é che troppi giovani si vedano chiusa la possibilità di mettere a frutto la loro voglia di esprimersi e di condividere che non può esaurirsi nel sogno (o illusione) di potersi cimentare su un palcoscenico virtuale e commerciale stile “Amici” o “X Factor”.

La provocazione di Macao mi sembra chiara: quali spazi le nostre città offrono alla creatività giovanile e alla voglia di condividere gratuitamente una lettura altra della realtà metropolitana?

In via Galvani oggi non si respirava disagio o antagonismo, ma, ripeto, voglia di condividere e di esprimersi. Le facce erano le stesse che ho visto davanti al palco del concertone di sostegno a Pisapia nella campagna elettorale dello scorso anno o in piazza Duomo durante la festa arancione dopo il ballottaggio.

Non ho visto nessuna bandiera di partito o movimento, nessun atteggiamento violento o provocatorio, ma ho ascoltato una domanda: c’é spazio per noi in questa città o dobbiamo rassegnarci a spegnere la nostra voglia di esprimerci nel percorso precario che il mondo del lavoro ci propone?

Le stesse forze dell’ordine stavano lì, sul marciapiede a chiacchierare tranquillamente, senza il minimo segnale di tensione.

Non so come e se possa continuare l’esperienza di Macao che, seppure secondo canoni molto lontani da quelli a cui sono abituato, segnala un tema fondamentale, quello della partecipazione e della costruzione condivisa di spazi e occasioni di espressione artistica e culturale. Su questo fronte molte città europee sono molto più avanti di Milano e dell’Italia.

Mi auguro che nessuno approfitti della visibilitá di Macao per mettere in scena strumentalizzazioni di vario genere o, peggio, per infiltrarsi con azioni violente.

Mi auguro che si apra un confronto costruttivo per tentare di capire come si possa non lasciare cadere queste domande e, con regole certe e sostenibili, lavorare perché il “bene pubblico” (così lo definiva uno striscione di Macao) dell’espressione artistica possa farci riflettere e crescere in relazioni e idee.

Mi pare che in questa esperienza ci sia un pezzo di città che non possiamo permetterci di perdere e che dobbiamo ricondurre nell’ambito della legalitã e del rispetto degli altri (scusate, ma come simbolo di chi subisce innegabili danni e disagi, penso ancora al benzinaio di via Galvani).

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