Formazione e lavoro: binomio vincente?

10 Febbraio 2012 di fabio pizzul

Vi propongo l’intervento che ho proposto martedì scorso in consiglio regionale durante il dibattito che ha portato all’approvazione dell’atto di indirizzo per la formazione e il lavoro di qui al 2015.

Il voto del Pd é stato negativo per la scarsa capacità di immaginare un futuro innovativo per la formazione e il lavoro in Lombardia.

Nel mio intervento sottolineavo la pessima scelta con cui il consiglio ha separato in due commissioni le competenze su lavoro e formazione. Il consigliere del Pdl Sala ha ammesso la criticità della scelta, ma ha sottolineato come la Giunta abbia invece accorpato le due competenze. Peccato che, due giorni dopo, la Giunta ha pensato bene di dividere l’assessorato prima affidato a Rossoni, lasciandogli il lavoro e affidando a Valentina Aprea la formazione. Alla faccia del passo avanti!

Per conquistare il futuro bisogna essere capaci di sognarlo e di costruirlo insiemeA partire da questa considerazione, vorrei proporre alcune brevi riflessioni sul documento che oggi arriva all’attenzione del Consiglio.

La prima riguarda il modo in cui il provvedimento è stato proposto ed è stato discusso in commissione. Personalmente ho avuto la sensazione che la maggioranza avesse molta fretta di approvarlo. Ricordo come nella prima riunione congiunta delle commissioni attività produttive e formazione si volesse accelerare i tempi dell’approvazione, considerando quasi superflua (o forse sgradita) ogni ulteriore osservazione da parte dei commissari e non necessario il ricorso alle audizioni delle parti sociali. L’iter ha poi dimostrato come il dibattito fosse opportuno e necessario, anche a giudicare dal numero delle audizioni richieste ed effettivamente realizzate in data 9 gennaio. Mi si permetta, in questo senso, una piccola notazione anche sullo stile delle audizioni: l’intervento dell’assessore Rossoni in apertura di quella sessione, nel ripetere sostanzialmente quanto l’Atto di indirizzo già proponeva e nel togliere dunque spazio agli auditi, ha dato l’impressione simbolica di una Giunta poco propensa all’ascolto e impegnata unicamente a rivendicare la bontà di quanto aveva pensato e proposto. Grazie soprattutto al presidente Sala, c’è stata poi la possibilità di allargare il confronto e di tentare una timida operazione di integrazione del “sacro testo” della Giunta.

Seconda notazione. Non è facile immaginare quello che accadrà da qui a tre o quattro anni, ma proprio per questo l’Atto di indirizzo avrebbe dovuto andare oltre la pura e semplice riproposizione di quanto fatto finora. Non la faccio lunga: il documento che stiamo discutendo ci pare finalizzato più a giustificare e perpetuare l’esistente che a cercare strade, anche innovative, per far fronte a una evidente crisi del rapporto tra formazione e lavoro. Nella discussione in commissione si è più volte sottolineata la necessità che i bulloni che legano tra questi due mondi vadano stretti e, magari, sostituiti, ma la sensazione è che ci sia ancora moltissimo da fare e, forse, anche da inventare. Per questo continuiamo a ritenere che la scelta di scorporare tra due commissioni le competenze sulla formazione e sul lavoro sia stata improvvida, intempestiva e, di fatto, dannosa. Aggiungo anche che le leggi lombarde hanno molti elementi positivi, costruiti con la collaborazione di tutte le forze politiche nelle scorse legislature, ma questi non vengono valorizzati e applicati con i necessari coraggio e lungimiranza.

C’è un altro evidente ostacolo che ci si trova di fronte nel momento in cui si deve guardare al futuro di formazione e lavoro: la valutazione del lavoro fin qui svolto. L’Osservatorio previsto dalla legge, il valutatore indipendente, un sistema oggettivo di valutazione del lavoro fatto e dei risultati ottenuti sono rimasti a livello di buoni propositi. Questo rende difficile capire che cosa davvero ha funzionato e su che cosa poter puntare per il futuro, se si vuole davvero uscire dalla sindrome dei miti di Orfeo e di Narciso. Il primo non riuscì a restituire la vita alla sua bella Euridice perché non vinse la tentazione di guardarsi indietro, invece che di guardare avanti, il secondo si perse e perse la propria vita perché troppo intento a contemplare la propria bellezza. Ebbene, mi pare che anche in questo provvedimento si indulga troppo in un percorso solitario, senza aver davvero l’intenzione di coinvolgere altri soggetti, se non per confermare quanto già si è progettato. La solitudine e la troppa presunzione della bontà dei propri progetti è una strada pericolosa anche in politica, per chi ha la responsabilità di pensare al futuro di tutti. Risulta difficile costruire tutto questo senza la disponibilità di elementi che portino a valutare oggettivamente (e non ideologicamente) il cammino fatto e senza il coraggio di rivolgersi umilmente a chi su queste cose ha prodotto studi e approfondimenti significativi, penso, in particolare, al mondo accademico. In caso contrario c’è il sospetto che ci si trovi di fronte unicamente alla volontà di regolare, nella migliore delle ipotesi, il mercato della formazione.

Molto dibattito ha creato, in quest’ottica, il tema dell’accreditamento. Nell’atto di indirizzo si esprime la volontà di aprire la possibilità di ricevere fondi pubblici anche a soggetti non accreditati. L’affermazione lascia molte perplessità. Chiederemmo, piuttosto, che venga precisata, in casi molto delimitati, una forma particolare di accreditamento, senza andare a mettere in discussione una formula che ha come obiettivo quello di offrire garanzie alle istituzioni, agli utenti e ai soggetti che erogano servizi. Non esiste un modello che funzioni sempre e comunque, ma quello dell’accreditamento ci pare ovviare meglio di altri ai numerosi inconvenienti e alle tante tentazioni presenti nel campo della formazione.

Chiudo con una notazione sulla necessità di promuovere davvero la libera scelta dei soggetti protagonisti della formazione (che sono i destinatari e non gli erogatori). Molti degli auditi hanno sottolineato il rischio dell’asimmetria dell’informazione e l’opportunità di creare una sorta di tutoraggio per i soggetti meno attrezzati o in condizioni di maggiore fragilità (si pensi a chi è espulso dal lavoro senza possedere particolari qualifiche). Su questo c’è ancora molto da fare, perché quello della libera scelta non sia solo uno slogan, ma diventi realmente un’opportunità per chi si trova a volere o dovere investire in formazione.

Per conquistare il futuro, dicevo all’inizio, bisogna essere capaci di sognarlo e di costruirlo assieme. Se il futuro che attende la formazione lombarda è quello delineato nel documento che oggi discutiamo, mi pare difetti di coraggio e di umiltà e risponda alla necessità di difendere un modellino di cui ci si è innamorati, ma che non pare in grado di rispondere, se non in piccola misura, alle formidabili sfide che ci attendono.

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