Il caso serio dell’università

1 Febbraio 2012 di fabio pizzul

Centododici (112) euro per l’università italiana
Nel 2012 le università italiane costeranno a ogni cittadino 112 euro all’anno, esattamente quanto il canone della RAI, parola di Stefano Paleari, rettore dell’Università degli Studi di Bergamo. In questi ultimi anni in Italia gli investimenti dedicati all’università e alla ricerca sono diminuiti, a fronte di un aumento del numero di studenti, soprattutto in Lombardia – si calcola che siano 250.000 i giovani che attualmente stanno studiando nella nostra regione.
La mancanza di risorse economiche impedisce alle università italiane di competere alla pari con quelle degli altri grandi paesi, impedendo loro di assumere premi nobel, di dotarsi di strumentazioni tecnologiche all’avanguardia per la ricerca, di investire in capitale umano. Il rapporto tra numero di studenti e numero di ricercatori nei migliori atenei del mondo è di 1 a 10 mentre in Lombardia è di 1 a 30.

Per comprendere a fondo le difficoltà delle università italiana, tuttavia, bisogna considerare anche il territorio in cui si inseriscono, perché è anche in base alla qualità della vita, al costo degli alloggi e alle opportunità d’inserimento lavorativo che i giovani scelgono dove studiare e i docenti dove andare ad insegnare. Ebbene, la Lombardia e le sue realtà produttive, se fin qui sono state in grado di attrarre sia studenti residenti che studenti provenienti dal centro e dal sud Italia, mostrano alcuni segni di cedimento che non sono stati colmati sufficientemente dalla capacità di attrarre capitale umano proveniente dall’estero, docenti compresi. Le ragioni sono molte, ma è evidente che, tra queste, è soprattutto alla Regione più ricca del paese che spetta in questo momento la responsabilità di investire maggiormente in ricerca e formazione (solo l’1,4% del PIL della Lombardia è dedicato a questa voce) e di favorire attivamente la competitività delle proprie imprese, specialmente in quelle a più alto valore d’innovazione.

Sarà un caso, ma l’unico intervento non applaudito alla conferenza annuale di Eupolis è stato quello di Formigoni, tutto incentrato sull’autoincensazione della sempre sbandierata eccellenza lombarda.
Che i tempi stiano davvero cambiando?
Di sicuro deve cambiare il nostro atteggiamento nei confronti dell’università perché diventi davvero un motore per l’intero sistema Paese e regione e perché i giovani che impiegano lì alcuni dei migliori anni non si trovino poi a vedere frustrato il loro investimento formativo o abbiano come unico sogno quello di fuggire all’estero.

4 commenti su “Il caso serio dell’università

  1. cristina

    Argomento veramente serio, specie perchè riguarda i giovani e la loro preparazione per affrontare il mondo del lavoro e un po’ la vita in generale.
    So che Monti sta facendo miracoli, ma il fatto che pensi che i giovani non si debbano ‘annoiare’ nel lavorare con posto fisso, o che sia necessariamente vergognoso arrivare alla laurea a 28 anni, fa pensare che finora -coloro che sono arrivati al posto fisso e alla laurea velocemente-siano stati tutti dei santi iperbravi e studenti- modello. Non so se è proprio stato così per tutti. Chi approfitta di alcuni ‘posti fissi’ è anche in parlamento…e non sono così giovani: come fanno a parlare ai giovani in questa maniera? Ma non sanno che se non ci sarà posto fisso per i nostri figli,sarà soprattutto per gli errori fatti dalla nostra generazione o da quella scorsa? I giovani già sanno le fatiche che dovranno fare! Tanto vale aiutarli già in università e in generale nella scuola, come spesso sottolinei giustamente tu, Fabio. Scusa il banale allacciamento al governo, ma vedere banalizzato l’argomento laurea/lavoro giovanile mi fa pensare che sia giusto investire invece sulla cultura dei giovani: dando più risorse di quelle che diamo (inutilmnte) alla RAI…

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  2. marco

    Tra le eccellentissime università lombarde c’è la Cattolica, che praticamente non riceve sovvenzioni statali.
    Ma nonostante la chiara matrice cattolica, il buon Pizzul non si degna nemmeno di citarla…
    Ora che il suo amico tettamanzi non c’è più, anche la Cattolica è diventata degli amici di Formigoni?

    Sono invece d’accordissimo sullo sperpero di risorse per la rai

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  3. marco (un altro)

    Io apprezzo molto il fatto che Pizzul non abbia parlato della sola università Cattolica, ma abbia fatto un discorso più ampio, che riguarda anche gli studenti delle altre università. Una precisazione: l’Università Cattolica è certamente un’eccellente università, non solo lombarda. Come tale, lecitamente, gode anche di sovvenzioni pubbliche, erogate dalla Regione sulla base dei trasferimenti ricevuti dallo Stato per il diritto allo studio. Il suo numero di studenti e la qualità della sua didattica in molti settori scientifici le garantiscono in Lombardia il più alto traferimento pubblico erogato a un’università privata. Proprio per questo è evidente che le politiche regionali e nazionali dedicate all’università sono determinanti anche per la cattolica e le università private in generale.
    Ebbene, come mi pare intenda sottolineare Pizzul, si può certamente fare di più per le università lombarde, non tanto per quanto riguarda la qualità didattica, quanto per la capacità di competere alla pari con Oxford o Yale per numero di studenti e docenti stranieri, per numero di docenti premi nobel, per numero di brevetti scientifici, etc. Ovviamente, perché ciò sia possibile, la Regione tanto eccellente di Formigoni, dovrebbe avere un piano strategico da concordare con le università, e fare anche molto di più sul piano dei servizi collaterali al percorso di studi (vedi politiche vere di inserimento lavorativo per i giovani – altro che stage e partite iva -, incentivi alle imprese più innovative perché non abbandonino la Lombardia, piani di edilizia convenzionata per studenti, convenzioni per i trasporti, eliminazione di corporativismi e raccomandazioni, etc.). Non è il momento di accontentarsi, la Lombardia deve poter diventare un polo attrattivo di quanto c’è di meglio in termini internazionali, non la semplice espressione di qualche eccellenza locale, perché o l’Italia riparte da qui o non si salva.

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  4. Alberto Farina

    Il problema, a mio modesto parere, sta nell’eccessivi proliferare di Università che disperde i finanziamenti e non giova alla qualità degli insegnamenti impartiti. Centododici università sono un’enormità: è chiaro che oramai essa è concepita come una prosecuzione degli studi superiori, dove parcheggiare i giovani nell’attesa che si collochino nel mondo del lavoro. Una scelta miope sia per l’università che per gli studenti. Bisognerebbe piuttosto rafforzare l’istruzione tecnica postdipolma, allo scopo di creare delle professionalità reali, piuttosto che creare fucine di futuri disoccupati che però possono fregiarsi del titoli di laureati.

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