Una domanda difficile, dal sapore quasi biblico, che torna ripetutamente alla mente di chi tenta di entrare nei meandri delle opposte ragioni di israeliani e palestinesi. E’ quello che abbiamo tentato di fare nella giornata di ieri nel corso del viaggio della delegazione del gruppo PD in regione Lombardia.
Un’intensa giornata di incontri ha messo a dura prova la nostra fredda razionalità occidentale che, di fronte all’ostinato legame mediorientale alla terra e alla storia, non si capacita di come israeliani e palestinesi non possano capire che la pace dovrebbe essere l’unica strada logica per tutti.
La giornata si è aperta con il realismo pragmatico del console generale italiano a Gerusalemme che ci ha parlato esplicitamente di una pace che è stata vicinissima con Olmert, ma che appare ora molto improbabile per la scarsa volontà delle parti. Come dire, non c’è peggior negoziatore di chi non vuol trattare. Il console ci ha parlato di palestinesi che non sono in grado di mettere in piedi un’economia degna di questo nome perché è impedito loro di esportare qualsiasi prodotto e di israeliani che non si sentono sicuri di fronte alla minaccia di un mondo arabo in subbuglio e a rischio fondamentalismo. E così ciascuno si considera vittima e non muove un passo per uscire da questa situazione.
Dopo un ceck-point con un solerte e giovane militare israeliano che ci ha fatto capire la frustrazione di palestinesi che si sentono prigionieri in casa, ci ha accolti Ramallah, con la Mocatta, quartier generale dell’Autorità Nazionale Palestinese e sede della tomba mausoleo di Yasser Arafat. Qui, grazie al brillante consigliere politico di Abu Mazen Nimmar Hammad, ci siamo lasciati coinvolgere nella frustrazione del popolo palestinese che si dice disposto a trattare con Israele, ma vive anche la contraddizione di un governo che di fatto non esiste per l’incapacità di trovare un accordo tra Abu Mazen e Hamas. Nelle vesti di imputato, il governo Netaniahu, che incentivando gli insediamenti di coloni in terra palestinese e negando qualsiasi possibile trattativa su Gerusalemme, rende impossibile ogni progresso.
Un rapido passaggio dal ministro palestinese per i rapporti con gli enti locali che ci ha manifestato la speranza di poter essere presente con un piccolo padiglione all’Expo di Milano, ci ha riportati alla parte più religiosa della nostra visita con puntate al Santo Sepolcro e al Muro del Pianto.
Il vicario del Patriarca Latino mons. Shomali ci ha ricondotto a una realtà che parla di due popoli che vivono da separati in una casa che li costringe a non ignorarsi. Il vescovo non ha offerto molte speranze per una pace che non può essere immediata, ma che è inevitabile. Con i cristiani nel ruolo di grandi protagonisti dello sviluppo economico della zona (senza il turismo e i pellegrinaggi l’economia non potrebbe mai segnare il più 5% annuo del biennio 2009-2010), ma grandi assenti dalla scena sociale e politica.
La giornata si è chiusa nella sinagoga italiana di Gerusalemme, con l’ex ambasciatore israeliano Sergio Minerbi a raccontarci come Israele non possa far altro che difendersi dalle minacce di popoli arabi che mettono quotidianamente a rischio la sua esistenza. Perché mai, ci ha spiegato Minerbi, la sofferenza di un palestinese che sostiene (secondo lui a torto) di essere prigioniero in casa, dovrebbe essere più degna di attenzione di quella di un israeliano che non può vivere sicuro in casa propria? Un duro atto d’accusa nei confronti di una comunità internazionale, e un’Europa in particolare, che gioirebbe nel vedere sconfitto Israele ci ha accompagnati a una sera in cui i punti interrogativi si sono fatti sempre più fitti.
Da lontano è facile giudicare e proporre soluzioni zeppe di logica occidentale. E’ facile anche essere tifosi più che osservatori.
Sul campo, mettendosi nei panni dei contendenti, ci si scontra con la fisicità orientale per la quale ogni pietra è una questione di sopravvivenza e ogni simbolo, anche lontano nel tempo, vale più di molte parole. Gerusalemme, i confini, i profughi, i coloni, la continuità territoriale, la sicurezza… Tanti problemi che pare impossibile risolvere tutti assieme.
L’occidentale pensa in cuor suo che si potrebbe almeno cominciare da qualche piccolo passo concreto e possibile, tanto per dimostrare la buona volontà delle parti. Dimentica che in oriente il frammento è come il tutto e che la terra e la storia pesano come l’intero cielo.
Avrà pace Gerusalemme? La logica, dopo questi incontri vacilla, ma non possiamo dimenticare che questa è pur sempre una terra di miracoli.
Non sono mai stata in quelle terre e non nascondo che mi fanno un po’ paura. Ma c’è anche una buona dose in me di diffidenza nei confronti di due popoli storicamente abbastanza ricchi (credo che ci siano in percentuale più palestinesi ricchi per il mondo piuttosto,ad esempio , che italiani ricchi; stessa cosa credo valga per gli israeliani. Non a caso le armi penso non manchino a nessuno). Questo dato, unito a interessi evidenti sulle stesse terre e una evidente tendenza a non spostare di una virgola le proprie posizioni, credo crei una miscela esplosiva…
la questione palestinese è un dramma.
penso sia facile diventare “tifosi” quando ti addentri nel capire cosa è successo in quelle terre nel 1947… inizio di tutti gli attuali problemi.
da quella data ci sono due realtà o popoli come qualcuno li definisce, un popolo opprime e l’altro subisce… un pezzo alla volta gli ruba tutte le terre con la scusa degli insediamenti.
c’è purtroppo molta disinformazione sul problema, “Cristina” che scrive nel post, sicuramente non conosce la realtà, infatti i palestinesi combattono con sassi e fionde .. gli israeliani con il massimo delle armi moderne.
ho proposto ad Alessandro Alfieri , che forse era con te nel viaggio, di organizzare una serata incontro con i vari comitati palestinesi in regione..