Singolare coincidenza oggi tra due eventi: la festa del lavoro e la beatificazione di papa Giovanni Paolo II.
Mi permetto di ricordare la straordinaria figura di papa Woytila prendendo a prestito qualche sua riflessione proprio sul tema del lavoro che il Papa sperimentò personalmente in gioventù e tenne come riferimento costante del suo magistero. Lo dimostrano i due passi che vi propongo qui di seguito e che ho tratto dalla “Laborem exercens”, l’enciclica dedicata al lavoro che GPII firmò nel settembre del 1981, a novant’anni dalla “Rerum Novarum” enciclica che diede inizio alla Dottrina Sociale della Chiesa.
Riflettere oggi sul lavoro con le parole del beato Giovanni Paolo II mi pare un bel modo per celebrare l’odierna ricorrenza e per partecipare idealmente alla festa di popolo che è la beatificazione del pontefice che ha segnato indelebilmente il passaggio del millennio.
Il lavoro è un bene dell’uomo – è un bene della sua umanità -, perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa più uomo». Senza questa considerazione non si può comprendere il significato della virtù della laboriosità, più particolarmente non si può comprendere perché la laboriosità dovrebbe essere una virtù: infatti, la virtù, come attitudine morale, è ciò per cui l’uomo diventa buono in quanto uomo. Questo fatto non cambia per nulla la nostra giusta preoccupazione, affinché nel lavoro, mediante il quale la materia viene nobilitata, l’uomo stesso non subisca una diminuzione della propria dignità. E noto, ancora, che è possibile usare variamente il lavoro contro l’uomo, che si può punire l’uomo col sistema del lavoro forzato nei lager, che si può fare del lavoro un mezzo di oppressione dell’uomo, che infine si può in vari modi sfruttare il lavoro umano, cioè l’uomo del lavoro. Tutto ciò depone in favore dell’obbligo morale di unire la laboriosità come virtù con l’ordine sociale del lavoro, che permetterà all’uomo di «diventare più uomo» nel lavoro, e non già di degradarsi a causa del lavoro, logorando non solo le forze fisiche (il che, almeno fino a un certo grado, e inevitabile), ma soprattutto intaccando la dignità e soggettività, che gli sono proprie. (9)
Gettando lo sguardo sull’intera famiglia umana, sparsa su tutta la terra, non si può non rimanere colpiti da un fatto sconcertante di proporzioni immense; e cioè che, mentre da una parte cospicue risorse della natura rimangono inutilizzate, dall’altra esistono schiere di disoccupati o di sotto-occupati e sterminate moltitudini di affamati: un fatto che, senza dubbio, sta ad attestare che sia all’interno delle singole comunità politiche, sia nei rapporti tra esse su piano continentale e mondiale – per quanto concerne l’organizzazione del lavoro e dell’occupazione – vi è qualcosa che non funziona, e proprio nei punti più critici e di maggiore rilevanza sociale. (18)