La barbara uccisione di Emlou Arvesu la donna filippina massacra a pugni dall’ucraino Oleg Fedchenco ha lasciato tutti attoniti e ha aperto molte domande sulla violenza che esplode in modo inconsulto, sul mancato aiuto alla donna, sull’incidenza dei disturbi psichici in larghe fasce della popolazione…
Giunge opportuna e tempestiva la riflessione del cardinal Tettamanzi che ha voluto inviare una lettera alla famiglia della donna.
Invitando i milanesi, italiani e stranieri, a una S. Messa di suffragio che verrà celebrata sabato 14 agosto alle ore 11.00 nella parrocchia frequentata dalla signore Emlou, il SS. Redentore di via Palestrina, l’Arcivescovo propone alcune importanti riflessioni sulla città:
La nostra preghiera inoltre non può non presentare al Signore l’autore di questo omicidio: possa egli maturare consapevolezza del male commesso e della sofferenza causata, così che giunga ad esprimere con sincerità il proprio pentimento e la propria volontà di riparazione. Questo sarà il primo passo necessario per poter intraprendere il percorso di reinserimento nella vita della società.
Vogliamo una Città dove tutti si sentano responsabili di tutti. Per questo preghiamo sia per la vittima che per l’uccisore.
In una città dove “tutti si sentono responsabili di tutti”, accorgersi e intervenire per aiutare – nel possibile – una persona che per strada subisce violenza, non è mai intromissione in vicende private, ma segno di legami sociali veri e forti. Esprimere poi – nella preghiera, con la vicinanza, con l’aiuto materiale – la propria solidarietà a chi è nel dolore, non è atto superfluo ma indice di appartenenza condivisa alla Città. Reagire alla barbara uccisione di una persona cara con i più alti, ragionati e pacati sentimenti – come hanno fatto fin qui la famiglia di Emlou e la comunità filippina – non è sinonimo di indifferenza, ma germe di promettente speranza per una Città che vuole sanare le ferite e asciugare le lacrime provocate dalla violenza ricorrendo alla forza della giustizia, della solidarietà e della carità.
Una città in cui tutti si sentano responsabili di tutti non è un’utopia. E’ l’unica strada da percorrere per far sì che non prevalgano l’individualismo e la solitudine, terreni fertili per una violenza che talvolta esplode davanti ai nostri occhi in modo drammatico, ma che rischia di divenire cifra quotidiana di una città divisa e sospettosa.