I rifiuti non devono per forza diventare un’emergenza.
Me lo ha confermato la visita che ho potuto fare oggi presso il centro riciclo rifiuti di Vedelago in provincia di Treviso.
Quello che si vede nel cuore della Marca è sorprendente per la sua semplicità: la parte secca dei rifiuti urbani diventa un materiale inerte ad alto contenuto plastico che può essere riutilizzato per una aplissima gamma di prodotti. Il centro di Vedelago vende il suo triturato da rifiuti a Singapore, in Germania, negli stati Uniti e dovrà presto dotarsi di una nuova linea di produzione per soddisfare una richiesta crescente.
Il procedimento, come dicevo, è sorprendente nella sua semplicità: la parte secca arriva al centro di raccolta, viene imballata e stoccata, quindi passa su un nastro per la vagliatura con un operatore che toglie fisicamente dai rifiuti il poco materiale che può essere utilmente riciclato. Quindi il secco passa allo sminuzzatore per poi essere depurato dal metallo con delle speciali calamite e venire ulteriormente sminuzzato. Si passa poi alla fase della cosiddetta estruzione che, attraverso una cottura a temperature basse (intorno ai 180 gradi) trasforma il triturato in una pasta nerastra. Dopo una rapida essiccatura il materiale viene sminuzzato in piccole parti che rappresentano il materiale finito da vendere ai clienti che lo useranno per produrre arredi urbani, materiale per l’edilizia, pavimentazioni varie, panchine e, tra breve anche le bricole per la laguna di Venezia. Il centro di Vedelago guadagna a più riprese: incassa una cifra dai comuni che portano i rifiuti (già differenziati), incassa un’altra cifra dal consorzio della plastica che conferisce gli scarti (utili per arricchire di plastica il prodotto quando serve), incassano infine circa 140 € a tonnellata dai clienti finali. Il mercato pare essere molto recettivo e può espandersi molto. L’intero processo di lavorazione costa intorno ai 42 € a tonnellata. Fate voi i conti…
Che cosa rimane di tutto questo? Ben poca cosa: un 5% di materiale (del 25% circa di secco che deriva da una buona differenziata) che viene conferito in discarica perché ha basso potere calorico.
L’ho fatta semplice, ma vi assicuro che quanto vi ho descritto corrisponde alla realtà. I macchinari per l’intera operazione sono contenuti in un capannone di un migliaio di metri quadri.
L’impianto trevigiano riesce a trattare circa 5 mila tonnellate di rifiuti l’anno, il che significa che per l’area dei 41 comuni dell’est milanese “basterebbero” dieci di questi impianti per trattare tutto il rifiuto secco che ora finisce direttamente nel termovalorizzatore.
Sapete qual è il problema?
Attualmente, vista l’esistenza dei citati termovalorizzatori (per di più incentivati con l’acquisto dell’energia elettrica prodotta a prezzi molto vantaggiosi), a chi raccoglie i rifiuti conviene evitare di trattare il secco e portarlo subito a bruciare. Lascio a voi ogni giudizio riguardo l’impatto ambientale e territoriale.
L’esperienza trevigiana sta facendo scuola: è già partito qualcosa di analogo in Sardegna e sta per partire a Prato.
Perché non sperimentarlo anche, magari all’inizio su piccola scala, anche in Lombardia?
I pionieri trevigiani (mamma e figlio) offrono volentieri la loro consulenza e il loro know-how, speriamo che i buoni consigli non siano cancellati dalla logica di un business ormai consolidato nella logica delle grandi opere.
I RIFIUTI OLTRE L’EMERGENZA
25 Giugno 2010 di fabio pizzul
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