UN GRIDO DA NON SOFFOCARE

14 Giugno 2010 di fabio pizzul

Ho partecipato nel Duomo di Milano ai funerali di mons. Luigi Padovese, vescovo milanese, Vicario apostolico in Anatolia ucciso dal suo autista nei giorni scorsi.
La partecipazione popolare milanese (tanti vescovi, tanti sacerdoti, ma soprattutto tanti fedeli) è stata solo un simbolico risarcimento alla distrazione con cui la salma di mons. Padovese era stata accolta al suo arrivo in Italia, a bordo di un cargo e senza la minima accoglienza istituzionale. Eppure padre Luigi era uno di quegli italiani che, in silanzio e senza clamori, offrono il loro contributo alla pace e alla costruzione di un mondo più giusto.
Mons. Padovese era originario della parrocchia della SS. Trinità di Milano, nel pieno della cosiddetta China Town ambrosiana, una zona che deve fare i conti con una massiccia presenza di immigrati e che sta offrendo, spesso in barba ai proclami di chi governa, grandi esempi di convivialità e convivenza. E’ quanto faceva in Turchia lo stesso mons. Padovese, frate cappuccino, caparbio nel voler conoscere a fondo la realtà che gli era stata affidata e nel testimoniare lo spirito di apertura e di fratellanza che i cristiani delle orgini avevano portato in Anatolia.
Sul libretto delle esequie è stata riportata una frase pronunciata da padre Luigi nell’ottobre 2006:

“In un’epoca di pluralismo, il fare missione rinunciando a un’attitudine dominatrice pare essere vincente, perché riproduce l’atteggiamento di Cristo, venuto per servire e così operare la salvezza di molti”.

Parole che impressionano, visto il martirio di mons. Padovese, ovvero l’estrema testimonianza di voler essere laddove è difficile professarsi cristiani e volerlo fare fino in fondo, senza sconti e difese.
Di fronte alla cieca violenza di chi lo ha ucciso, la via più semplice potrebbe sembrare quella della durezza e della chiusura, ma la fragile vita delle comunità cristiane medio orientali chiede un atteggiamento diverso fatto di mitezza e di aprtura alla speranza.
In Duomo lo ha chiesto anche il vescovo di Smirne, mons. Franceschini, ricordando come ai cristiani là sia talvolta anche negato di urlare per esprimere la propria sofferenza e come sia ingiusto non considerare un martirio quello del suo confratello monsignor Padovese.
Il seme che muore porta frutto e fa nascere speranza, ha detto il cardinal Tettamanzi nella sua omelia.
Il seme e la speranza vanno però sostenuti ed è responsabilità di tutti farlo. Della comunità cristiana che deve suscitare vocazioni missionarie in quei luoghi. Degli educatori che devono far conoscere la realtà di quelle zone. Dei politici che devono tenere i riflettori accesi su quanto accade laggiù. Di ogni uomo che ha la responsabilità di conoscere e ricordare, se crede, anzitutto con la preghiera.
Perchè se i cristiani dovessero scomparire dai territori che furono culla del cristianesimo stesso, il nostro mondo sarebbe più povero e meno abitato dalla speranza.

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