Ho letto con interesse il secondo numero dell’Osservatorio Lavoro del 2010 (lo trovate su www.aclimilano.com). Promosso dalle ACLI milanesi, l’Osservatorio offre dati sul mercato del lavoro e si concentra in questo numero soprattutto sul fenomeno della disoccupazione giovanile. Nelle regioni del Nord Ovest il tasso dei non occupati nella fascia tra i 15-24enni ha raggiunto il valore record del 24,0%. In meno di due anni è praticamente raddoppiato, nel secondo trimestre del 2008 l’indicatore faceva segnare un valore del 12,0%.
Ed ecco il commento delle ACLI:
“Questi dati particolarmente allarmanti vengono tradizionalmente spiegati ricorrendo all’aumento del numero di anni dedicati all’istruzione e pertanto al posticipo dell’ingresso nel mercato del lavoro. Tuttavia, considerando che tra le fila dei 15-24enni rientrano tutti i qualificati della formazione professionale, i diplomati che non hanno intrapreso gli studi universitari, così come i laureati del primo ciclo che non si sono iscritti a una laurea specialistica, i contorni della situazione appaiono ben più foschi. Dietro questo modello di partecipazione al mercato del lavoro può benissimo nascondersi anche ciò che non appare nelle statistiche ufficiali in quanto non è rilevato come occupazione: non soltanto il sommerso, ma anche quella forma “legalizzata” che esso assume quando è impiegato funzionalmente, stravolgendone le reali finalità, che è rappresentata dagli stage non retribuiti intensamente utilizzati proprio nella gestione della transizione scuola-lavoro. Se ne deve necessariamente concludere che le generazioni più giovani non rappresentano un terreno di investimento per la domanda di lavoro. Le analisi dell’Ocse del resto confermano che negli ultimi dieci anni si è stabilizzata in Italia una fascia di 20-30enni – pari a circa il 20% del totale – di cosiddetti giovani NEET, not in employment, education and training, ovvero che né lavorano né studiano. E dunque che non stanno svolgendo nemmeno stage curricolari”.
Aumenta dunque l’età del primo lavoro e sta avanzando in Italia una generazione che entrerà nel mondo del lavoro solo dopo i 25 anni e a questo dato non sempre si accompagna un aumento del tasso di istruzione. Tutto questo non faciliterà il processo di ricambio generazionale, il trasferimento delle competenze e la formazione sul campo dei giovani che saranno chiamati a sostituire le consistenti generazioni di babyboomer che presto andranno in pensione.
Il tema del rapporto tra le generazioni rischia di emergere prepotentemente anche nel mondo del lavoro. Ogni riforma scolastica ha sempre sottolineato la necessità di rafforzare i rapporti tra mondo della scuola e mondo del lavoro, ma l’impressione è che si sia fermi più o meno al palo.
Il tema della formazione professionale, legato anche ai corsi universitari professionalizzanti, torna dunque di estrema attualità e nei prossimi anni sarà un banco di prova importante per la Regione Lombardia.