Ogni aiuto che le istituzioni offrono ai cittadini è un segnale positivo, ma anche la modalità con cui avviene non è priva di significato.
Vorrei allora lanciare una riflessione che può suonare come provocatori. Attendo riscontri e spunti per ulteriori ragionamenti.
La politica dei voucher/buoni/dote percorsa dalla Lombardia negli ultimi anni non ha fatto altro che sottolineare come l’unica discriminante per potersi sentire liberi e autonomi sia quelle eminentemente economica da giocarsi in solitudine e isolamento con la possibilità di acquistare prestazioni sul mercato dei servizi.
Chi ha gli strumenti e le risorse sceglie il meglio, gli altri devono accontentarsi di ciò che rimane.
Mi piace pensare a uno schema diverso, nel quale le risorse servano a garantire l’accesso universale a servizi che non si confrontano solo con il mercato, ma soprattutto con i bisogni delle persone. Ricostruire la rete territoriale dei servizi non significa necessariamente perdere il controllo della spesa e l’equilibrio dei conti. Una politica che mantenga e promuova l’eccellenza dei servizi sanitari lombardi non è incompatibile con l’offerta di servizi sociali capaci di intercettare i bisogni delle persone e, in particolare, di quelle meno attrezzata dal punto di vista economico e culturale. Il pensiero va allora inevitabilmente agli anziani, ai non autosufficienti, ai disagiati psichici e agli ammalati cronici che non possono essere un peso di cui si fanno carico solo le famiglie.
Il contributo economico non basta, servono servizi.
I miei sono ovviamente solo spunti di riflessione.
Ho lanciato il sasso.
Attendo commenti e reazioni.
Sono entusiasticamente d’accordo. Certo, la tanto sbandierata sussidiarietà ne verrà un po’ridimensionata. O no? E l’idea che il mercato permetta sempre l’allocazione più efficiente delle risorse pure. Ma il rilievo sull’isolamento e la solitudine e soprattuto sul fatto che un buono/voucher/dote comunque avvantaggi chi i mezzi li ha già (nonostante i limiti di reddito per l’ottenimento del buono) è importantissimo. Inoltre la concessione di soldi “una tantum” mi sembra significhi rinunciare ad una progettualità della crescita e dello sviluppo sociale.
Considerazioni un po’demodé, forse…
Penso che quanto segnali sia realmente lo stile della politica del centro destra lombardo che, con la classica arroganza tecnocratica del suo grande capo (Formigoni) vede la ricerca del bene comune solo come un problema da risolvere con interventi da parte di competenti (tutti scelti opportunamente e quindi di parte), anziché mediante la partecipazione dei cittadini. Questa posizione non è accettabile perché fa degenerare il senso di bene comune creando una società perfettamente funzionante per chi se lo può permettere e, siccome viviamo in una regione con un tenore di vita mediamente alto, per una grande parte di essa. Il guaio è che in questo modo si crea un bene comune nell’ottica del mercato (ottica puramente liberista), non rispondendo al reale bisogno della società civile, ma semplicemente rispondendo alle logiche di una fortissima lobby di potere (chiamiamola “compagnia”) che crea un circolo virtuoso interno, grazie alle “buone opere” che compie.
La tua proposta è arguta e va nella direzione giusta: ricostruire una reale rete territoriale dei servizi, per esempio, rafforzando il principio per cui siano i servizi sociali locali, che conoscono meglio i bisogni reali dei cittadini, a definire le linee guida di assistenza, che poi vengano tradotte nel concreto dalle ASL e non il viceversa.
Certo questo richiede tempo, sacrificio, risorse ma soprattutto la convinzione di un reale cambiamento di prospettiva, che finalmente metta l’uomo e non gli interessi particolari di qualcuno, al centro dell’azione politica.
Hai toccato un tasto che ha visto la mia famiglia impegnata in prima linea per 14 anni!
Mio figlio,diventato tetraplegico a 18 anni,in seguito ad un intervento chirurgico per l’asportazione di un tumore,ha avuto bisogno di cure e assistenza continue, giorno e notte:
la “battaglia” -perchè di questo si tratta, l’unica per cui davvero occorre attrezzarsi, il resto, per un figlio come, credo, per qualsiasi familiare, lo si fa per amore e quindi non “pesa”- è stata quella con la burocrazia.
Dal cambio della carrozzina agli ausilii, dal respiratore alla sostituzione della mascherina usurata, tutto ha sempre richiesto un ingente impegno di pazienza,di preparazione e di tempo (difficile da trovare in una situazione già molto difficoltosa) e di capacità a sapersi districare tra uffici e linguaggi non sempre di facile comprensione. Dopo due anni ho deciso di rimanere a casa dal lavoro: ho scelto di andare in mobilità, poi in cassa integrazione, poi alcuni mesi senza stipendio…fino ad arrivare alla pensione. Così ho potuto seguire anche le incombenze con l’ Asl!
Un altro esempio: quando, per offrire a nostro figlio una casa più adatta alle sue difficoltà, siamo stati costretti a cambiare paese- che,peraltro, rientrava nello stesso Piano di Zona-, non ha avuto più diritto ad usufruire di un servizio (S.A.V.I)- sovracomunale- cui egli stesso teneva molto a che aveva da qualche anno! L’ha ottenuto dopo quasi due anni di richieste e insistenze. Ma quanti si sentono, in una situazione già di per sè difficoltosa, di perseverare per il riconoscimento di un diritto?
Nostro figlio ora non c’è più, ma ci auguriamo davvero che altre persone che si trovano in una situazione di disagio non abbiano anche a doversi districare tra orpelli burocratici.
Hai ragione, il problema è “intercettare” i bisogni e i disagi per agevolare almeno un po’ la vita di chi ce l’ha un po’ più complicata.
In bocca al lupo per la tua elezione!
From: paolo.d
Ci sono riscontri: laddove i servizi del territorio funzionano, vedi dipartimento delle fragilità di Lecco (un modello di assistenza domiciliare tutto pensato nel pubblico) diminuisce il numero dei ricoveri rispetto al resto della regione,
E quindi, non solo servizi migliori h24 e di qualità per i cittadini, ma anche risparmio per le casse regionali.
Ti invito a leggere i report dell’attività di questo reparto. Sono strabilianti.
“Garantire l’accesso universale ai servizi” purtroppo equivale a “perdere l’equilibrio dei conti”. Anche perchè chi è in uno stato di necessità ha veramente bisogno di tutto: assistenza, cure infermieristiche, riabilitazione, a volte ricoveri, a volte accessi immediati in PS, aiuto domestico, sostegni per superare-con più mezzi-le barriere architettoniche, spese per i farmaci e per le cure quotidiane… Quindi saper riconoscere le necessità, filtrare le domande e saper rispondere ai bisogni sono doti da costruire nella mentalità e nella formazione di chi decide in questa materia, per usare meglio le risorse.
Altro è dire, ed è vero, che i voucher lasciano sole le famiglie , nonchè i medici curanti, che devono districarsi tra le strutture accreditate (a volte con personale che è collegato a chi ha consigliato la struttura…)nella scelta di cosa serve di più in quel momento alla persona in difficoltà.
Credo che più informazione e più formazione, tranquillizzerebbe , toglierebbe un po’dalla solitudine e guiderebbe le famiglie a una scelta mirata.
In Lombardia ci sono strutture accreditate migliori che in altre regioni; solo che tutti chiedono tutto, i tagli ci sono stati e dividere una torta piccola se molti hanno fame non è facile.
Dissento da Cristina. L'”ossessione del pareggio del bilancio” è un’ideologia (o una retorica), simile a tante altre, figlia dell’equazione “privato=bello”. Ma questo non è necessariamente vero, così come non è vero che con l’approccio fin qui seguito dalla regione Lombardia si risparmi, o che con l’assistenza pubblica si buttino via i soldi o si spenda di più. Tutto dipende da come si organizzano e si fanno le cose e dall’equilibrio che si vuole raggiungere. Ricordiamoci che il privato ha bisogno di fare soldi, e non opera per beneficenza, a parte rari casi.