Interessante articolo quest’oggi a pagina 2 di “Avvenire” a firma di Pio Cerocchi.
L’editoriale lancia la domanda riguardo al perché i candidati alle prossime regionali vogliano essere eletti o, se preferite, abbiano scelto di candidarsi.
Cerocchi snocciola una serie di considerazioni e sottolinea poi come sia sempre più necessario guardare all’impegno politico come a un servizio per il bene comune, riecheggiando così l’appello dei vescovi italiani sulla necessità di dare corpo a una nuova generazione di politici cattolici.
E’ ovvio che qualcunque dei candidati in lizza, se interpellato, risponderebbe che la sua intenzione è di mettersi a servizio delle istituzioni, di mettere a disposizione la sua competenza, il suo entusiasmo, la sua voglia di fare, la sua giovinezza…
Un po’ meno ovvio avere una risposta ad altre domande che riguardano, ad esempio, gli investimenti messi in campo per l’ormai avviata campagna elettorale. Nulla succede a caso e dubito che i candidati intendano semplicemente fare beneficenza a chi gestisce le loro campagne, stampa il loro materiale o affitta spazi pubblicitari.
Resta allora la domanda: un candidato che “investe” nella sua campagna (aggirando senza troppi problemi il limite massimo previsto a Milano di 49mila euro e rotti) centinaia di miglia di euro, perché lo fa? Quali ritorni si attende? Come rientrerà da queste spese o che cosa dovrà garantire a chi lo ha sostenuto?
Le mie sono solo domande e non accuse. Anche perché è più che legittimo che chi ha soldi a disposizione li usi come meglio ritiene.
Comunque, se vi capita di girare in questi giorni per Milano, guardate le affissioni… e riflettete.
La domanda del “perché lo fai” tocca anche chiunque, a diverso titolo, si interessi di politica.
Nel rispondere sul perché io lo faccio, ossia perché in questo momento voglio dare una mano al candidato Pizzul, mi viene in mente quanto hanno scritto i vescovi nel documento uscito questa settimana “Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno”.
Ad un certo punto i vescovi scrivono, citando la “Caritas in veritate”: “Lo sviluppo dei popoli si realizza non in forza delle sole risorse materiali di cui si può disporre
in misura più o meno larga, ma soprattutto grazie alla responsabilità del pensare insieme e gli uni per gli altri”. E ancora: “In questo peculiare pensiero solidale, noi ravvisiamo la tensione alla verità da cercare,conoscere e attuare. Ravvisiamo, altresì, il tentativo di valorizzare al meglio il patrimonio di cui
tutti disponiamo, cioè la nostra intelligenza, la capacità di capire i problemi e di farcene carico, la creatività nel risolverli”. Pensare gli uni per gli altri vuole dire mettere a disposizione la propria intelligenza, fantasia, per cercare di farsi carico dei problemi, provando a risolverli giocandosi in prima persona. Tutto qui.